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Sovrappeso e obesità: il resoconto delle ultime linee guida 2023 dell’Istituto Superiore di Sanità

L’obesità è una patologia cronica determinata dall’interazione tra ambiente, stile di vita, predisposizione genetica ed alterazioni metaboliche. È stato riportato che nel 2016 più di 1,9 miliardi di adulti erano in sovrappeso, di cui 650 milioni obesi, si prevede che 2,7 miliardi di adulti saranno in sovrappeso e oltre 1 miliardo saranno obesi entro il 2025. 

L’eccesso di peso ha grandi ripercussioni sia nel breve che nel lungo periodo sulla salute e sulla qualità di vita del soggetto. La facile affaticabilità e la ridotta mobilità hanno importanti implicazioni a livello psicologico e sociale e cooperano nel raggiungimento di una vera e propria condizione di disabilità. Inoltre, l’obesità trascina con sé un corollario di complicanze come il diabete mellito, l’ipertensione, l’insufficienza respiratoria, l’aumentato rischio di eventi cardiovascolari come l’infarto del miocardio e l’ictus e non ultimi l’aumentato rischio di infezioni e tumori maligni, alterazioni epatiche e della fertilità.

Un corretto stile di vita è considerato un elemento di fondamentale importanza nel trattamento del sovrappeso e dell’obesità ed è caratterizzato da:

  • adeguata alimentazione che preveda una buona scelta degli alimenti sia in quantità che in qualità;
  • costante ed efficace attività fisica definita da una combinazione tra attività aerobica e di resistenza;

La combinazione di esercizio fisico e restrizione calorica permette di ottenere un calo ponderale consistente, preservando la massa magra e favorendo la riduzione del peso con effetto diretto sulla riduzione del rischio cardiovascolare e sono inoltre necessari per il raggiungimento e il mantenimento a lungo termine degli obiettivi di calo ponderale.

Oltre ad un corretto stile di vita, alla base di ogni strategia contro l’obesità, ad oggi è possibile valutare una serie di altre associazioni terapeutiche come alcuni trattamenti farmacologici o chirurgici che trovano indicazione in casi specifici.

Infine è importante non dimenticare o sottovalutare l’aspetto psicologico legato all’eccesso ponderale che può essere allo stesso tempo causa ed effetto di tale patologia cronica con influenze negative rispetto al percorso terapeutico intrapreso. Per questo è fondamentale un approccio completo all’obesità, che curi l’aspetto nutrizionale e metabolico, psicologico e le complicanze ad essa associate e che permetta di abbandonare uno stile di vita sedentario e non funzionale.

Dr.ssa Angela Balena – Specialista in Endocrinologica e Malattie del Metabolismo

Fonti: 

https://www.iss.it/documents/20126/8403889/LG193_AME_Terapia-sovrappeso-e-obesità-resistenti-tratt-comport

https://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_3256_allegato.pdf

 

 

 

 

Il ruolo strategico dell’etichettatura di un prodotto

L’etichettatura di un prodotto alimentare ha un ruolo strategico in quanto informa il consumatore sulle caratteristiche del prodotto, consentendogli di scegliere quello che maggiormente risponde alle proprie esigenze.

Con il termine etichettatura si intende “l’insieme delle menzioni, delle indicazioni, dei marchi di fabbrica o di commercio, delle immagini o dei simboli che si riferiscono ad un prodotto alimentare” e che possono essere applicate sulla confezione o, in mancanza di essa, sui documenti di accompagnamento della merce (D. Lgs. 109/1992, art. 1).

Quali sono i criteri di una corretta etichetta e le indicazioni che devono riportare?

Nell’elaborare il contenuto informativo delle etichette è fondamentale che si rispettino criteri di chiarezza, leggibilità e facilità di lettura, inoltre per i prodotti preconfezionati, le etichette devono obbligatoriamente riportare le seguenti indicazioni (art. 3 del D. Lgs. 109/92):

  1. la denominazione di vendita;
  2. l’elenco degli ingredienti;
  3. la quantità netta o la quantità nominale;
  4. il termine minimo di conservazione o la data di scadenza;
  5. il nome o la ragione sociale o il marchio depositato e la sede del fabbricante o del confezionatore o di un venditore stabilito nella UE
  6. la sede dello stabilimento di produzione o di confezionamento;
  7. il titolo alcolometrico volumico effettivo;
  8. il lotto di appartenenza del prodotto;
  9. le modalità di conservazione e/o utilizzazione;
  10. origine o provenienza;
  11. la quantità di taluni ingredienti o categorie di ingredienti.

Alcune delle suddette indicazioni sono assolutamente obbligatorie, altre obbligatorie salvo casi di deroga previsti dalla legge, altre ancora obbligatorie in relazione alla destinazione d’uso.

Per le suddette caratteristiche le etichette alimentari rappresentano un prezioso alleato del consumatore. Saperle comprendere è fondamentale per una scelta consapevole e quanto più salutare possibile.

Alcuni accorgimenti per comprendere al meglio le etichette dei prodotti preconfezionati:

  • Tante più indicazioni sono presenti sull’etichetta e tanto migliore sarà il giudizio alimentare su quel determinato prodotto.
  • Un prodotto di qualità viene valorizzato elencando le sue proprietà nutrizionali e pubblicizzando la natura e l’origine dei suoi ingredienti.

Sapevi che l’ordine degli ingredienti non è casuale?

L’ordine con cui gli ingredienti appaiono in etichetta non è casuale, ma è regolato per legge. In particolare i vari componenti devono comparire in ordine decrescente di quantità. Pertanto, controllando l’ordine degli ingredienti di due prodotti simili si può scegliere quello che tra i due è qualitativamente migliore. 

L’immagine riportata sulla confezione del prodotto ha il solo scopo di richiamare l’attenzione del consumatore e non è necessariamente legata all’aspetto reale del prodotto. Per una scelta consapevole, è importante affidarsi alle etichette piuttosto che alle scritte promozionali.

Scritto dalla Dott.ssa Eleonora Cuofano Biologa Nutrizionista, consulente DCD

I carboidrati: una fonte di energia o un rischio per la linea?

I carboidrati, detti anche glucidi, sono sostanze chimiche composte da carbonio, idrogeno e ossigeno. 

Insieme alle proteine (protidi) e ai grassi (lipidi), fanno parte dei macronutrienti.

I carboidrati rappresentano la fonte primaria di energia per le prestazioni funzionali del nostro organismo e partecipano alla costruzione di strutture essenziali: ricoprono, pertanto, una funzione energetica e plastica.

Le tre categorie

Negli alimenti si possono riconoscere tre principali categorie di carboidrati:

  • zuccheri, carboidrati semplici che si trovano naturalmente in frutta, verdura e latticini. Gli zuccheri più comuni sono lo zucchero della frutta (fruttosio), lo zucchero da tavola (saccarosio) e lo zucchero del latte (lattosio)
  • amido, carboidrato complesso costituito da molte unità di glucosio legate insieme. L’amido si trova naturalmente in cereali, patate e legumi.  In natura è presente in due forme, l’amilosio e l’amilopectina. Solitamente più è alto il contenuto di amilopectina rispetto all’amilosio, più l’alimento risulta digeribile
  • fibra, carboidrati complessi che il nostro organismo non è in grado di utilizzare a scopo energetico, ma la cui fermentazione a livello intestinale da parte della flora batterica è essenziale per regolare l’assorbimento e il passaggio dei nutrienti e per proteggere il nostro organismo da numerose patologie. Esse sono presenti naturalmente in frutta, verdura, cereali e legumi

Il percorso dei carboidrati

Grazie ai processi digestivi, gli zuccheri e gli amidi contenuti negli alimenti vengono scomposti in glucosio che, assorbito dall’intestino, passa nel flusso sanguigno. In seguito, grazie all’azione dell’insulina prodotta dal pancreas, il glucosio entra nelle cellule del corpo dove viene utilizzato per produrre energia.

Il glucosio in eccesso viene immagazzinato sotto forma di glicogeno (carboidrato di riserva del mondo animale), nel fegato e nei muscoli. Il glicogeno viene utilizzato per mantenere l’omeostasi glicemica durante il digiuno.

 Se consumati in eccesso, i carboidrati possono essere convertiti in trigliceridi.

Le Linee guida Nazionali

Secondo le Linee guida Nazionali per una corretta alimentazione, il 45-60% del fabbisogno calorico giornaliero dovrebbe provenire dai carboidrati, almeno i tre quarti sotto forma di carboidrati complessi e non più del 10% sotto forma di zuccheri semplici.

L’importanza dei carboidrati deriva dal fatto che vengono assorbiti e utilizzati dall’organismo molto facilmente, assicurando alle cellule un rifornimento di glucosio e quindi di energia.

Per un’alimentazione equilibrata e per il controllo del peso corporeo, è importante non eliminare i carboidrati dalla propria dieta, piuttosto, prestare attenzione a consumarli in porzioni adeguate ai propri fabbisogni, all’età e all’attività fisica svolta.

Oltre ad attenzionare la quantità di carboidrati è importante considerare anche la qualità degli stessi. Alimenti come dolci, caramelle e bevande zuccherate andrebbero consumate il meno possibile preferendo frutta, verdura e cereali.

Scritto dalla Dott.ssa Eleonora Cuofano Biologa Nutrizionista, consulente DCD

 

La sindrome dello Yo-Yo: tra caos e perfezione

Se siete tra quelle persone che nel corso della vita hanno fatto innumerevoli diete alternando rigida disciplina, perdita di peso a iperalimentazione e successiva ripresa dei chili persi, fate parte della folta schiera degli yo-yo.

Una moltitudine di uomini e donne (ma più donne), ossessionata dal peso corporeo, che le ha provate tutte pur di raggiungere la forma ideale. Queste persone prediligono le diete restrittive, spesso le chetogeniche che consentono un dimagrimento veloce ma, nel giro di uno o due anni, i chili persi tornano al loro posto e spesso con gli interessi.

Perché “dello Yo-Yo”?

La sindrome dello yo-yo, così chiamata in riferimento al famoso gioco cinese, è una continua oscillazione del peso corporeo, una rapida e drastica alternanza tra perdita di peso e il suo recupero.

Questo avviene di solito in seguito a diete ipocaloriche restrittive che inducono il corpo a posizionarsi in uno stato di “allerta carestia”, cioè tende a conservare le riserve di grasso e a bruciare meno rallentando così il metabolismo. Questo induce a riprendere velocemente peso una volta tornati ad un’alimentazione normocalorica e a rendere sempre più difficile il dimagrimento.

Hai la sindrome dello Yo-Yo?

Infatti, una caratteristica di queste persone sta nel fatto che, avendo seguito numerose diete, diventano dietologi di se stessi: espertissimi di calorie, nutrienti, massa magra e massa grassa, affrontano ogni nuovo percorso con scetticismo e diffidenza. Difficilmente si affidano, tendono a fare di testa loro mescolando schemi alimentari precedenti con quelli nuovi, spesso saltano i pasti per ottimizzare la dieta o per compensare eccessi reali o presunti. Questo stato di cose produce molta frustrazione in chi vive questa esperienza, che spesso si ripete continuamente del corso della vita, dando luogo a un vero proprio circolo vizioso che crea malessere e dal quale non è semplice uscire se non si colgono gli atteggiamenti psicologici sottostanti, che non si riferiscono solo al cibo ma a diverse aree della vita.

Ma quali sono le caratteristiche psicologiche del “Tipo Yo-Yo”??

  1. I tipi yo-yo, come ho già detto soprattutto donne, sono in costante conflitto con sé stesse. Una parte di sé rigida, perfezionista, autonoma, organizzata, si contrappone a un’altra parte caotica, disorganizzata, dipendente, inconcludente.
  2. Hanno un pensiero tutto o niente, bianco o nero. Vogliono tutto subito, non sanno stare nelle sfumature e nel divenire, hanno fretta di avere risultati evidenti in tutte le cose che fanno, sono impazienti e frettolose.
  3. Alternano momenti di carica e fiducia in sé stesse, fino alla maniacalità, con momenti di abbattimento, sfiducia, fino alla depressione.
  4. Spesso sono state bambine buone, precocemente responsabilizzate, che hanno rinunciato ai loro bisogni in favore dei bisogni degli altri. In alcuni casi si sono fatte carico di organizzare il caos della propria madre.
  5. Il tipo yo-yo ha un ideale dell’Io che tende alla perfezione: se non posso essere perfetta, allora sono completamente sbagliata. Le basta “sgarrare” una volta durante la dieta per veder crollare quell’idea di ascetismo e perfezione in cui si rifugia allo scopo di controllare le emozioni (anche queste divise tra positive e negative, giuste e sbagliate).

Indole compulsiva o controllata?

Per lei fermarsi non è possibile e quindi cadere nella deriva degli eccessi e del disordine sarà inevitabile. Questo viaggio negli inferi può durare mesi o anni, fino a quando non si fermerà di nuovo per riprendere il controllo della propria vita. Ma è proprio questo controllo che fa perdere il controllo, il tentativo costante di controllare e reprimere la compulsività a mangiare la rende irrefrenabile: più resisto alle tentazioni e più queste diventano impellenti e travolgenti. (Giorgio Nardone, 2003)

La perfezione è una corda tesa che prima o poi si spezza, per cui è facile saltare da una polarità all’altra, dal tutto al niente.

Cosa può aiutare a fermare questo sali e scendi?

  • Divenire consapevoli del conflitto interiore
  • Disattivare il giudizio
  • Volersi più bene
  • Accettare la propria unicità e rinunciare alla perfezione
  • Ribellarsi più spesso nella vita di tutti i giorni
  • Sviluppare la capacità di regolarsi
  • Imparare a sentire il proprio corpo, il proprio confine, la propria fame, il proprio desiderio

Decidere di farsi aiutare da una/uno psicologa/o può essere il primo cambio di rotta sulla strada dell’equilibrio e del benessere.

Di redazione della Dott.ssa Marzia Vercillo Psicologa e Psicoterapeuta, consulente DCD

 

Un nuovo corpo per l’estate: come mantenerlo?

I suggerimenti della psicologa.

Molte sono le persone che non trovano nessuna difficoltà a seguire una dieta una volta che lo hanno deciso e che sono sufficientemente motivate. Affermano di aver toccato il fondo e che quindi la risalita è necessaria e inevitabile. Ma capita anche che queste stesse persone siano consapevoli della loro capacità di impegnarsi, ma lo siano altrettanto della loro difficoltà di mantenere i risultati ottenuti nel tempo. E spesso nei colloqui psicologici, mi parlano di questo timore ancor prima di iniziare il percorso di dimagrimento.

L’importanza del mantenimento

Il mantenimento è dunque per molti la parte cruciale del processo di cambiamento, perché rappresenta il graduale rientro alla normalità e se non si sono affrontati gli aspetti psicologici del personale rapporto con il cibo e con il proprio corpo, probabilmente si ripeteranno i comportamenti che hanno condotto al sovrappeso.

Per ovviare a ciò vi invito a farvi le seguenti domande:

  1. Il cibo per me è solo nutrimento e piacere o rappresenta qualcosa di più?
  2. La mia vita ruota intorno a me o intorno agli altri?
  3. A che mi servono i chili in più?

Cos’è il cibo per te?

Il cibo, oltre a essere piacere ed elemento necessario alla vita, spesso diventa fonte di consolazione e gratificazione esclusiva, un automatismo sostitutivo di qualsiasi altra forma di soddisfazione, un tappo per bloccare quelle emozioni ritenute sgradevoli.

Un altro fattore che mette a rischio le buone pratiche apprese in un percorso di benessere è che troppo spesso non si riesce a rimanere centrati sui propri bisogni, e non solo alimentari: c’è sempre qualcosa di più importante da fare, da pensare, da organizzare e nell’affanno della quotidianità si perdono i propri desideri e obiettivi.

“A che le servono i chili di troppo?”

Inoltre, la domanda che faccio sempre nei colloqui, e che lascia spesso un po’ perplessi, è “a che le servono i chili di troppo”? Dopo un iniziale stupore, le rispose che mi vengono date con più frequenza sono: “mi fanno sentire più forte/ più protetta/ a riparo da intimità e sessualità/ più morbida/ più buona/ inoffensiva/ attutiscono i colpi della vita/ sento meno anche il dolore e la rabbia”. Pertanto, se non si diventa consapevoli delle resistenze che si mettono in atto contro il cambiamento, sarà più difficile mantenere i risultati ottenuti nonostante le buone intenzioni.

Il rischio dello “Yo-Yo”?

Per coloro che con impegno hanno intrapreso un percorso DCD, la fine dei trattamenti e l’inizio del mantenimento rappresentano un momento di soddisfazione. Spesso viene vissuto come l’ultimo giorno di scuola e l’inizio di una lunga vacanza dal controllo e dalla bilancia, ma non dovrà esserlo dalle buone abitudini intraprese e dalla consapevolezza del rapporto con il cibo. I risultati ottenuti, l’immagine nuova che lo specchio rimanda, le sensazioni piacevoli di un corpo più sano, non sono un punto di arrivo ma stimolo e motivazione a prendervi cura di voi. Un dimagrimento, piccolo o grande che sia, richiede sempre un cambiamento. Lasciate che non sia solo la vostra taglia a cambiare, ma il rapporto con voi stesse e con gli altri. Se ciò non accade si rischia di cadere in quella che viene chiamata la sindrome dello yo-yo o del tutto o niente, in cui si passa da un periodo di restrizioni a un altro di “abbuffate”.

Ma quale è allora l’atteggiamento mentale giusto da assumere durante il mantenimento?

Le 7 linee guida per mantenere i risultati ottenuti:

  1. Soffermatevi sui vostri bisogni e non su quelli degli altri
  2. Disattivate il pilota automatico che vi porta a utilizzare il cibo come soluzione ad ogni problema
  3. Individuate le situazioni di stress profondo nella vostra vita e affrontatele
  4. Sostituite la frase “io mi controllo” con la frase “io mi regolo”
  5. Sostituite la parola “sgarro” con la parola “scelta”
  6. Il cibo non è un vostro nemico: scegliete il cibo e non lasciate che sia lui a scegliere voi
  7. Non lasciatevi da sole in questa fase: continuate i controlli con le nutrizioniste e continuate, o iniziate, i colloqui con la psicologa, che in questa fase possono essere un valido aiuto a rimanere in contatto con le vostre emozioni e a gestirle in maniera funzionale e creativa.

Godetevi il vostro “nuovo” corpo e la vostra vita!

Scritto dalla Dott.ssa Marzia Vercillo Psicologa e Psicoterapeuta, consulente DCD

 

Ipercolesterolemia: le origini, le conseguenze e la prevenzione

Per ipercolesterolemia si intende una eccessiva concentrazione di colesterolo nel sangue.

Quando la concentrazione del colesterolo supera i valori normali, questo può essere un nemico della nostra salute, infatti è uno dei principali fattori di rischio delle malattie cardiovascolari.

Il colesterolo è un nemico per la nostra salute?

Il colesterolo è presente naturalmente all’interno del nostro organismo, in particolare sulle membrane cellulari (funzione strutturale) ed è inoltre necessario per il corretto funzionamento di alcuni processi fisiologici come la sintesi degli ormoni steroidei, della bile ma anche della vitamina D (funzione precursore).

Come si differenziano i tipi di colesterolo?

Si differenzia per il tipo di lipoproteina che lo trasporta nel sangue:

  • Colesterolo buono HDL (high density Lipoproteins): rappresenta il colesterolo legato alle proteine ad alta densità che hanno la funzione principale di raccogliere il colesterolo in eccesso e portarlo agli organi che lo utilizzano e lo eliminano (funzione di spazzino). Per questo motivo queste proteine hanno un ruolo protettivo per quanto riguarda le complicanze legate all’ipercolesterolemia.
  • Colesterolo cattivo LDL (low density Lipoproteins): rappresenta il colesterolo legato alle proteine a bassa densità che trasportano il colesterolo nel sangue, quando c’è un eccesso di tali proteine il colesterolo tende a depositarsi all’interno dei vasi.
  • Colesterolo totale: HDL + LDL

Quali sono le cause di ipercolesterolemia?

Le cause sono:

  • Fumo e consumo di bevande alcoliche
  • Disfunzioni ormonali
  • Patologie quali diabete e ipertensione
  • Stile di vita sedentario e dieta non equilibrata
  • Predisposizione genetica e familiare

…E le conseguenze sulla salute?

L’ipercolesterolemia non provoca una sintomatologia diretta e quindi è diagnosticabile solo con analisi del sangue che andrebbero per questo fatte regolarmente.

Livelli alti di colesterolo provocano un ispessimento e indurimento delle arterie (aterosclerosi) che può portare con il tempo alla formazione di vere e proprie placche (ateromi) che progressivamente vanno ad ostruire il flusso sanguigno o addirittura portano ad una chiusura completa del vaso, in alcuni casi le placche possono anche staccarsi favorendo l’insorgenza di trombi che portano a rapide ostruzioni vasali con improvviso arresto del flusso sanguigno. Queste ostruzioni possono provocare complicanze di tipo cardiocircolatorio come infarto e ictus.

La corretta prevenzione

La prevenzione è fondamentale per combattere i livelli alti di colesterolo. Questa può essere attuata sia con un corretto stile di vita dunque alimentazione sana, riducendo soprattutto i grassi saturi e il consumo di alcool, e cercando di tenere sotto controllo il peso corporeo facendo attività fisica in maniera regolare.

Nei casi in cui il solo controllo dello stile di vita non fosse sufficiente bisognerà, sotto stretto controllo medico, assumere dei farmaci o integratori specifici per abbassare i livelli di colesterolo nel sangue.

Di redazione con la collaborazione della Dott.ssa Mattei Maria Giulia

 

Adiposità localizzata: cos’è, cause e rimedi

Per adiposità localizzata si intende la presenza di un tessuto ricco di cellule adipose (le cellule del grasso) rispetto ad altre zone del corpo.

Le zone più frequenti in cui possiamo notare questo accumulo di lipidi sono le culotte di Cheval (regione glutea e cosce), la zona addominale e quindi la pancetta, ma anche la zona dei fianchi con le così dette maniglie dell’amore. Questi accumuli causano l’alterazione del profilo corporeo e dunque della silhoutte.

Cosa influenza e causa l’adiposità localizzata?

L’adiposità localizzata è senza dubbio influenzata da:

  • Una componente genetica,
  • Fattori come l’età,
  • I livelli ormonali,
  • Il sesso.

 

Le cause su cui possiamo tempestivamente agire vanno ricercate invece nello stile di vita e l’introito calorico:

  • Attività fisica
  • Dieta
  • Vita sedentaria

 

La diagnosi differenziale

L’adiposità localizzata non va confusa con la Cellulite, spesso sono quadri che coesistono ma necessitano di trattamenti differenti. L’adiposità localizzata a differenza della cellulite è strettamente legata al sovrappeso, quindi più si aumenta di peso e più si rende evidente.

Nell’adiposità la cute appare liscia, quindi non con l’aspetto a “buccia d’arancia” inoltre l’elasticità della cute è mantenuta e non è presente né edema né gonfiore.

I rimedi

Se è vero che l’adiposità localizzata è strettamente correlata all’aumento ponderale c’è comunque da dire che con il controllo dell’alimentazione e dell’attività fisica non si può avere una risoluzione.

Il grasso dell’adiposità localizzata è un grasso più profondo che necessita di trattamenti specifici, nel centro DCD oltre al trattamento di ESC che è alla base del metodo, proponiamo trattamenti localizzati come lo Sculpture Tonic che sfrutta il calore tramite una tecnologia ad infrarosso con una azione tonificante e riduttiva, e la Crioultrasuono che viceversa sfrutta il congelamento portando il tessuto a temperature prossime allo zero instaurando così un processo di apoptosi.

Di redazione con la collaborazione della Dott.ssa Dott.ssa Mattei Maria Giulia

 

Il potere delle vitamine: dove trovarle e quali i benefici

Le vitamine sono sostanze organiche necessarie in piccola quantità per il normale funzionamento dell’organismo.

Questi composti devono essere introdotti con la dieta poiché l’organismo non è in grado di sintetizzarli.

Non esiste un alimento che contenga tutte le vitamine, per cui è importante rendere l’alimentazione varia ed equilibrata per ridurre il rischio di eccessi o carenze.

Le vitamine si dividono in idrosolubili e liposolubili:

Le vitamine idrosolubili sono facilmente solubili in acqua, non possono essere immagazzinate nell’organismo come riserve e l’eventuale eccesso viene eliminato con le urine per cui, in condizioni fisiologiche, non ci sono pericoli di tossicità. Comprendono le vitamine del gruppo B tra cui l’acido folico e la vitamina C.

  • Le vitamine del gruppo B partecipano al corretto metabolismo di carboidrati, lipidi e proteine, sono fondamentali nella produzione di energia e svolgono un ruolo protettivo sul sistema nervoso, cardiovascolare e su cute, capelli e denti.
  • L’acido folico è essenziale per la sintesi di DNA, proteine ed emoglobina e per il corretto sviluppo dei tessuti che vanno incontro a proliferazione e differenziazione come quelli embrionali. Infatti l’assunzione di acido folico prima e durante la gravidanza è fortemente raccomandata per prevenire malformazioni del tubo neurale.
  • La vitamina C è un potente antiossidante, svolge un ruolo fondamentale in numerosi processi metabolici, quali la sintesi di collagene, ormoni e amminoacidi, aumenta l’assorbimento intestinale del ferro e potenzia il sistema immunitario.

Le vitamine liposolubili vengono assorbite tramite i grassi assunti con la dieta, possono accumularsi nell’organismo con potenziali effetti tossici. Comprendono le vitamine A, D, E, K.

  • La vitamina A è un fattore indispensabile per il corretto funzionamento della vista e per l’integrità dei tessuti e del sistema immunitario.
  • La vitamina D è un regolatore del metabolismo del calcio e garantisce la corretta mineralizzazione delle ossa. Numerosi studi hanno poi evidenziato un ruolo importante sul controllo dell’infiammazione e della risposta immunitaria. 
  • La vitamina E è un importante antiossidante ed è essenziale per il mantenimento dell’integrità delle membrane cellulari.
  • La vitamina K ha un ruolo importantissimo nei processi di coagulazione del sangue.

Qual’è il fabbisogno giornaliero di vitamine?

Il fabbisogno giornaliero e l’assunzione raccomandata di vitamine per l’individuo sono stabiliti in base all’età e al sesso (LARN – Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed Energia per la popolazione italiana) ed in condizioni fisiologiche possono essere totalmente soddisfatti da un’alimentazione varia ed equilibrata.

Le fonti principali di vitamine sono infatti cereali, frutta, verdura, legumi, latte, uova, carne e pesce. Diete sbilanciate nell’apporto di nutrienti possono portare a carenza o eccesso di vitamine con manifestazioni cliniche anche gravi. 

Quali i rischi per carenza di vitamine?

Note già nei tempi antichi sono infatti malattie carenziali quali lo scorbuto (carenza di vitamina C), il beri-beri (carenza di vitamina B1- tiamina) e la pellagra (carenza di vitamina B3- niacina).

Oggi nei paesi occidentali le carenze vitaminiche sono rare, ma possono comunque manifestarsi in condizioni di ridotto assorbimento causato da patologie o diete scorrette o di aumentato fabbisogno come in gravidanza, per cui l’eventuale integrazione deve basarsi su un’effettiva necessità e sotto controllo medico.

Le ipervitaminosi: quando si eccede con l’assunzione di vitamine

Le ipervitaminosi più comuni sono quelle dovute ad un’eccessiva assunzione di vitamine liposolubili (A,D,E,K) che si accumulano nell’organismo e vengono smaltite lentamente con conseguenze anche gravi, ma possono verificarsi anche con quelle idrosolubili se concorrono altri fattori che ne rallentano l’eliminazione.

Assumere dosi eccessive di vitamine attraverso l’alimentazione è piuttosto difficile, infatti i casi di ipervitaminosi documentati sono dovuti al consumo eccessivo e incontrollato di integratori  il cui utilizzo è regolamentato (DL  169/2004) e del tutto superfluo in individui sani che hanno un’alimentazione corretta.

Una dieta varia ed equilibrata, ricca di cereali frutta e verdura, la scelta di cibi freschi e non conservati, metodi di cottura utili a preservare le vitamine e gli altri nutrienti contenuti negli alimenti sono le regole d’oro per vivere meglio.

Di redazione con la collaborazione della Dott.ssa Serena Rianda

Fonti:

I benefici dell’olio di oliva e il suo ruolo preventivo nello sviluppo di malattie

L’olio di oliva si ottiene dai frutti dell’Olea Europaea, comunemente detta ulivo, e la sua peculiare composizione gli conferisce le proprietà benefiche che lo rendono il simbolo della dieta mediterranea.

È composto per il 99% da grassi, rappresentati principalmente da acidi grassi monoinsaturi, specialmente l’acido oleico, e per il restante 1% da composti bioattivi (vitamine e polifenoli) responsabili  delle  caratteristiche organolettiche e vantaggiosi per la salute.

Le caratteristiche dei componenti dell’olio di oliva

Gli acidi grassi monoinsaturi contribuiscono al controllo della colesterolemia in quanto possono ridurre i livelli ematici delle lipoproteine LDL e VLDL, deputate al trasporto del colesterolo dal fegato ai tessuti, e aumentare invece quelli delle lipoproteine HDL, deputate alla rimozione del colesterolo dagli organi e dalle arterie.

I composti bioattivi conferiscono all’olio d’oliva il sapore, l’aroma e la piccantezza e dipendono da fattori quali  il tipo di olive utilizzate, la fase di maturazione dei frutti, le tecniche di coltivazione.

I polifenoli sono sostanze dotate di  una forte attività antiossidante e antinfiammatoria e contribuiscono a migliorare il metabolismo dei lipidi riducendo i livelli ematici di colesterolo e trigliceridi.

L’olio di oliva ha un ruolo preventivo sullo sviluppo di malattie?

Studi clinici hanno infatti evidenziato il ruolo preventivo dell’olio d’oliva sullo sviluppo di malattie cardiovascolari e del diabete di tipo 2 e la capacità di contribuire a ridurre i valori di glicemia ed emoglobina glicata nei pazienti  diabetici.

Inoltre l’attività antiossidante dell’olio d’oliva contribuisce a proteggere le membrane cellulari dai processi d’invecchiamento con un potenziale ruolo preventivo sullo sviluppo di tumori e malattie degenerative.

Come si classifica l’olio di oliva?

La classificazione merceologica degli oli d’oliva viene stabilita sulla base di diversi parametri, tra cui il grado di acidità, ovvero la quantità di acido oleico libero presente.  Valori bassi di acidità sono indicatori di processi produttivi migliori: un olio di qualità superiore ha un grado di acidità dello 0.2-0.3%.

Ciò permette di classificare gli oli d’oliva in:

  • Olio d’oliva  extravergine, acidità non superiore allo 0.8%, estrazione con processi  fisico-meccanici delle olive
  • Olio d’oliva vergine, acidità non superiore al 2%, estrazione con processi  fisico-meccanici delle olive
  • Olio d’oliva, acidità non superiore all’1%, estrazione con processi  fisico-meccanici delle olive
  • Olio di sansa e di oliva, acidità non superiore all’1%. La sansa è ciò che resta dopo l’estrazione dell’olio e da essa può essere estratto ancora olio residuo. L’estrazione può avvenire con l’uso di solventi.

Come conservare e consumare l’olio di oliva?

Per mantenere inalterate tutte le proprietà dell’olio d’oliva è importante conservarlo e utilizzarlo in modo corretto.

L’olio d’oliva va conservato in contenitori di vetro scuro o acciaio inox tenuti in luoghi freschi e asciutti evitando ripetute esposizioni all’aria e alla luce.

Va consumato preferibilmente a crudo, poiché la cottura ad alte temperature deteriora molte sostanze che non resistono al calore, come le vitamine. Inoltre superata una certa temperatura l’olio comincia a produrre fumo (punto di fumo) e sostanze nocive alla salute.

L’olio d’oliva in un piccolo volume  contiene molte calorie (1 cucchiaio = 90cal), per cui le quantità suggerite dipendono anche dal regime alimentare seguito, in linea generale vanno dai 20 grammi ai 40 grammi al giorno (1 cucchiaio da minestra = 10 grammi).

Di redazione con la collaborazione della Dott.ssa Serena Rianda

Fonti:

  • Linee guida per una sana alimentazione. Revisione 2018. CREA
  • www.issalute.it
  • Regolamento (CEE) n°2568/91

Il ferro nell’alimentazione: dove trovarlo e a cosa serve

Perché così importante assumere ferro nella nostra alimentazione? Scopriamolo oggi nella nostra guida stilata insieme alla nostra dottoressa.

Perché è così importante il ferro? Quali alimenti ne sono ricchi? Ecco una guida per saperne di più.

Perché è importante assumere il ferro?

Il ferro è un minerale essenziale per il benessere e il corretto funzionamento del nostro organismo. Esso è responsabile di molte azioni all’interno del nostro corpo come l’ossigenazione dei muscoli, la produzione di alcuni ormoni, il rinforzo del sistema immunitario e l’aumento della nostra resistenza fisica.

Quanto assumerne durante il giorno?

Il fabbisogno giornaliero varia in base alle condizioni fisiologiche di ognuno: in una dieta comune, senza particolari bisogni, le quantità sono di 10/20 mg giornalieri di cui ne vengono assunti solo il 5/10% (1/2 mg circa).

È fondamentale per il nostro corpo mantenere un deposito di ferro sufficiente regolato dall’assorbimento intestinale. Delle volte l’assunzione del ferro può essere messa in pericolo da alcuni fattori:

  • Diete povere di ferro
  • Alterazioni del PH gastrico
  • Alta motilità intestinale
  • Anemie e carenze di vitamina B12
  • Disordini metabolici
  • Alimenti ossalati, fosfati e carbonati

Come assumere più ferro?

L’assorbimento del ferro avviene nella prima parte dell’intestino (duodeno) e nel primo tratto del digiuno (parte intermedia dell’intestino tenue).

Per facilitare l’assunzione di ferro, si consiglia di mangiare alcuni alimenti che ne sono ricchi come il fegato, le carni rosse, i legumi e le ostriche. La vitamina C e gli zuccheri di origine alimentare ne facilitano l’assorbimento ed è per questo che spesso si consiglia di mangiare alimenti come gli spinaci, ricchi di ferro, assieme a del succo di limone o arancia.

Perdite di ferro

Le perdite di ferro sono sempre legate a dei fattori fisiologici, come la minzione, l’evacuazione e l’età. Nel caso delle donne, fattori come la gravidanza, il ciclo mestruale o la menopausa, incidono fortemente sull’assunzione del ferro. Questi elementi espongono maggiormente le donne al rischio di avere delle maggiori perdite di ferro.

In condizioni normali, il contenuto di ferro nell’intero organismo varia da 2g nella donna fino a 6g nell’uomo. Il ferro è diviso in due compartimenti: uno funzionale (di cui l’80% nell’emoglobina) e uno di deposito (accumulato principalmente nel fegato, nella milza e nelle ossa). Nelle giovani donne, i depositi di ferro sono tendenzialmente inferiori rispetto a quelli degli uomini.

Quando i depositi di ferro sono nella norma, nell’organismo si trovano solo tracce di emosiderina, formata da aggregati di ferritina. Per valutare la norma delle riserve di ferro nel corpo, deve esserci equilibrio tra la quantità di ferritina dei depositi e quella plasmatici.

Da dove prendere il ferro?

Il modo più facile ed immediato è attraverso un’alimentazione sana ed equilibrata.

Ecco un elenco degli alimenti con maggiore concentrazione di ferro:

  • Fegato e frattaglie
  • Carni, soprattutto quella di tacchino
  • Pesce
  • Tuorlo d’uovo
  • Legumi
  • Funghi secchi
  • Frutta secca
  • Cereali integrali
  • Farina di soia
  • Verdure a foglia verde scura (es. cavolo riccio, cavolo nero, crescione, broccolo…)

L’assimilazione del ferro

Solo una parte del ferro introdotto nell’organismo attraverso il cibo è poi assimilato, è quindi importante conoscere gli alimenti che più ne sono ricchi senza inciampare nel rischio di una carenza.

A differenza di quanto si possa pensare, vegetariani e vegani non soffrono di mancanza di ferro poiché i vegetali presentano un ottimo contenuto di ferro e vitamina C, utile per l’assorbimento di questo minerale.

Alimenti sconsigliati

Latte e latticini, tè e caffè se assunti duranti e pasti assieme ai cibi di origine vegetale ricchi di ferro, ne riducono l’assorbimento poiché formano con esso dei complessi insolubili che inibiscono l’assimilazione.

I fitati, sostanze che ostacolano l’assorbimento di ferro e nutrienti, presente in cereali e legumi possono essere ridotti se cotti dopo essere stati lasciai a bagno in acqua tiepida con limone per qualche ora.

Qualora l’apporto di ferro non fosse sufficiente per il fabbisogno giornaliero, si può ricorrere ad integratori prescritti dal medico o alimenti fortificati ed integrati con ferro come specifici cereali da mangiare a colazione.

Iniziare un percorso in DCD, significa modificare il proprio stile di vita e adottare l’alimentazione CADN, un piano alimentare pensato per assicurare tutti i benefici al nostro organismo, ferro incluso.

Di redazione con la collaborazione della Dott.ssa Monica Ramiconi Dietista

Il ruolo dei probiotici

I probiotici aiutano l’equilibrio del nostro benessere. Scopriamo di più su questi microrganismi.

Che cosa sono i probiotici?

I probiotici sono microrganismi, per lo più batteri e lieviti simili ai microbi “buoni” naturalmente presenti nel nostro tratto gastrointestinale.

Nel nostro intestino sono presenti miliardi di microrganismi, tra cui batteri, funghi e virus che costituiscono il microbiota intestinale, ovvero l’insieme dei microrganismi che convivono nel nostro organismo senza danneggiarlo.

In accordo col Ministero della Salute, è opportuno assumere probiotici che contengano almeno 1 miliardo di cellule vive per almeno uno dei ceppi presenti così da garantire la colonizzazione dei probiotici al nostro intestino.

I più diffusi son:

  • Lactobacilli
  • Streptococchi
  • Bifidobacteria
  • Funghi Saccharomyces, Aspergillus. Penicillium

La proprietà dei probiotici

I probiotici devono avere determinate caratteristiche per sopravvivere nel nostro tratto gastrointestinale.

Devono essere in grado di sopravvivere nell’ambiente acido dello stomaco per arrivare vivi e vitali nell’intestino dove esercitare le propria funzione. Aderendo alle mucose intestinali, riescono a riprodursi e a colonizzare la mucosa.

I probiotici devono essere dei costituenti “normali” della flora dell’intestino sano e privo di effetti collaterali, per un sano e corretto funzionamento dello stesso.

I benefici dei probiotici

La presenza dei probiotici, oltre a determinare il nostro benessere, apporta moltissimi benefici:

  • Miglioramento delle difese immunitarie
  • Efficaci per il trattamento di alcuni disturbi del tratto gastrointestinale
  • Combattono malattie infiammatorie dell’intestino
  • Aiutano nella cura dell’obesità

I nemici dei probiotici

Il quantitativo di probiotici nel nostro organismo può essere minacciato da alcune condizioni:

  • Infezioni intestinali
  • Avvelentamenti
  • Uso di antibiotici
  • Cattiva digestioni
  • Abitudini alimentari scorrete
  • Stress

La dieta, fattori esterni ed ambientali presenti nella quotidianità possono influire sulla composizione del microbiota creando così una alterazione che viene chiamata disbiosi intestinale. Ciò piò comportare diversi sintomi come gonfiore addominale, irregolarità intestinale, meteorismo e difficoltà a digerire.

L’alimentazione CADN di DCD è una dieta bilanciata ed equilibrata, in grado di assicurare al nostro organismo tutti gli elementi di cui ha bisogno.

Di redazione con la collaborazione della Dott.ssa Giorgia Fusco Dietista

Le fibre alimentari: a cosa servono? E dove trovarle?

Le fibre alimentari sono molto importanti per il nostro organismo, saperle distinguere e conoscere dove trovarle in natura risulta fondamentale.

Le fibre sono presenti in tantissimi alimenti: scopriamo dove trovarle e perché sono utili.

Cosa sono le fibre alimentari e a cosa servono?

All’interno della nostra dieta equilibrata, la presenza delle fibre è fondamentale per il corretto funzionamento dell’intestino.

Le fibre alimentari sono quelle sostanze organiche presenti in frutta, verdura, cereali e legumi che gli enzimi del nostro apparato digerente non è in grado di scomporre, e quindi digerire.

In base alla loro struttura possiamo distinguerle in fibre solubili e fibre insolubili.

Le prime sono in grado di sciogliersi nell’acqua e costituiscono un’ottima fonte di sostentamento per la flora batterica,che popola il nostro intestino e che lo protegge dalle infezioni, per questo motivo le fibre sono anche definite prebiotiche.

Le fibre solubili contribuiscono ad aumentare il senso di sazietà perché, essendo la fibra viscosa, rallenta il transito intestinale dei cibi, inducendoci a mangiare di meno. Inoltre, le fibre solubili sono in grado di limitare l’assorbimento dei grassi e degli zuccherifacilitando la dieta e percorsi di dimagrimento.

Le fibre insolubili, invece, non sono in grado di sciogliersi nell’acqua ma piuttosto la assorbono, aumentando di volume.Quando si trovano nell’intestino aumentano il volume delle feci, che vengono ammorbidite dall’acqua, stimolando la peristalsi intestinale e facilitando l’evacuazione.

Ciò non solo aiuta la regolarità intestinale, ma impedisce anche che le tossine contenute nelle feci vengano assorbite dall’organismo a causa di un’eccessiva permanenza nel colon, aiutando a scongiurare infezioni e disturbi ben più gravi.

Il giusto apporto di fibre

La Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU), in base all’età, raccomanda determinate quantità di fibre:

  • Adulti: almeno 25 gr al giorno anche con meno di 2000 calorie assunte
  • Bambini: almeno 8,4 gr ogni 1000 calorie assunte

Ma dove trovarle?

Le fibre sono contenute principalmente negli alimenti di origine vegetale ricchi di vitamine, sali minerali e preziosi nutrienti per il benessere di tutto il corpo. E’ consigliabile consumare la frutta con la buccia preferendo prodotti biologici e non trattati, in quanto è li che si concentra maggiormente il quantitativo di fibre.

 I legumi, come lenticchie, piselli, soia, ceci e fagioli, oltre ad essere vari e saporiti, contengono fibre solubili.

Tra le verdure, le più ricche di fibre sono spinaci, bietole, asparagi, radicchio, verdura a foglia verde.

La frutta secca, oltre ad essere un perfetto e sano spezza fame, è un concentrato di vitamine, sali minerali e acidi grassi insaturi.

Anche i cereali integralie i derivati garantiscono un ottimo apporto di fibre, basti pensare alla crusca, il rivestimento del chicco dei cereali che per 100gr di prodotto contiene 40 gr di fibre.

Atteggiamenti sconsigliati

Gli integratori alimentari a base di fibre, oltre a non essere necessari davanti ad una dieta equilibrata, sono sconsigliati per le persone che soffrono di malattie infiammatorie intestinali; per chi segue una terapia specifica  sono da assumere lontano dai farmaci in quanto potrebbero alterarne l’assorbimento. 

Qualora gli integratori venissero prescritti dal medico, è importante assumerli sempre con il giusto quantitativo di acqua per scongiurare i possibili effetti collaterali come gonfiore, tensione addominali e dolori all’addome.

Il metodo DCD, attraverso l’aiuto di specialiste del settore, garantisce la giusta quantità di fibre grazie ad una dieta ben equilibrata che includa verdure, crusca e una corretta idratazione.

Di redazione con la collaborazione della Dott.ssa Giorgia Fusco Dietista

Stress e cortisolo: due fattori che incidono sul dimagrimento

Scopriamo come il cortisolo, chiamato spesso ormone dello stress, può avere effetti negativi sul nostro corpo e sul nostro peso.

Che cos’è il cortisolo? Il cortisolo è un ormone prodotto dalle cellule del surrene sotto stimolo del cervello e la sua secrezione varia a seconda delle fasi della giornata: durante le primissime ore del mattine si assiste a un picco massimo, mentre durante le ultime ore della sera c’è un picco minimo.

Le varie funzioni del cortisolo

Il cortisolo incide fortemente sul nostro metabolismo poiché nella sua forma attiva controlla i livelli di zuccheri, proteine e grassi nel sangue. Tra le varie funzioni, l’ormone del cortisolo contribuisce a bilanciare il sistema immunitario, la pressione sanguigna, la presenza di acqua e sali minerali, la produzione di globuli bianchi e rossi; influisce sul comportamento, la memoria e la sfera emotiva.

Le alterazioni del cortisolo

A volte la produzione del cortisolo viene condizionata da alcuni fattori, come l’assunzione di determinati farmaci o lo stress. In questi casi, la produzione giornaliera standard può essere alterata e il cortisolo può concentrarsi cronicamente nel sangue arrivando ad incidere persino sul nostro aspetto.

Gli effetti indesiderati di elevati livelli di cortisolo nel sangue sono:

  • riduzione progressiva della massa magra 
  • aumento della massa grassa (soprattutto a livello viscerale)
  • glicemia costantemente elevata
  • perdita di massa ossea
  • aumento della ritenzione di liquidi

Come contrastare gli effetti negativi?

Ci sono alcune accortezze che incidono positivamente sull’equilibrio mentale e fisico capaci di aiutarci ad abbassare lo stress, e di conseguenza, i livelli elevati di cortisolo presenti nel nostro organismo.

Per contrastare gli effetti negativi di aumentati livelli di cortisolo, è importante tenere sotto controllo l’alimentazione, assumendo alimenti di qualità ed evitando il consumo di cibi particolarmente lavorati e processati ricchi di zuccheri. Sono sconsigliate le diete “fai da te” particolarmente restrittive basate su digiuni prolungati o l’assunzione sbilanciata di carboidrati proteine e grassi. È invece importante assumere fibre ad ogni pasto, frutta a merenda, verdure a pranzo e cena, e la giusta quantità di proteine e acqua per mantenersi idratati.

Cortisolo e dimagrimento

Lo stress cronico e il cortisolo elevato possono influire negativamente sul successo di un percorso di dimagrimento ed è per questo che DCD propone un metodo sostenibile ed efficace.

L’alimentazione CADN e la Nuova Electrosculpture sono l’alleato ideale per aiutare le persone affette da cortisolo alto a ridurre la ritenzione idrica, il tessuto adiposo e per stimolare il microcircolo grazie all’impiego della corrente galvanica a basso amperaggio.

Di redazione con la collaborazione della Dott.ssa Eleonora Cuofano Dietista – nutrizionista

La tiroide: tutto quello che devi sapere.

Le patologie della tiroide si dividono in ipertiroidismo e ipotiroidismo. Come comportarsi e cosa mangiare.

La tiroide è una ghiandola a forma di farfalla che si trova nella parte anteriore del nostro collo. Seppur di piccole dimensioni, la tiroide ha un ruolo fondamentale nel nostro organismo perché gli ormoni che produce, chiamati ormoni tiroidei, sono necessari per numerose funzioni di crescita e di sviluppo, come ad esempio la regolazione del metabolismo, della temperatura corporea e della forza muscolare.

Una sua alterazione ha conseguenze negative e significative sulla qualità della vita. Le cause dell’alterazione della tiroide possono essere numerose ma le più frequenti sono l’ipertiroidismo l’ipotiroidismo

Il ruolo della iodo

Lo iodio ha un ruolo importante nel funzionamento della tiroide; infatti, l’introito di questo minerale va limitato nell’ipertiroidismo e incrementato nell’ipotiroidismo. Secondo i LARN (Livelli di Assunzione Raccomandata di Nutrienti della SINU) il fabbisogno giornaliero di iodio degli adolescenti (11-17 anni) è di 130 microgrammi (μg), per gli adulti 150µg. Per le donne in gravidanza e allattamento tale quantità aumenta sensibilmente, raggiungendo i 200μg al giorno, la stessa quantità è consigliata nella pre-gravidanza per garantire le necessità del feto.

Lo iodio non si respira, si mangia

L’acqua del mare è ricca di iodio. Eppure la quantità di iodio respirata dal mare, al contrario di quanto si pensa, è ininfluente per il nostro fabbisogno di iodio, la cui fonte principale è rappresentata dall’alimentazione. Per prevenire le patologie legate a un cattivo funzionamento della tiroide è raccomandabile introdurre nella dieta gli alimenti che maggiormente contengono iodio, così come moderarne il consumo in caso di ipertiroidismo.


Tra questi vanno ricordati: Sale iodato, Pesce azzurro, molluschi e crostacei, alghe marine essiccate, Uova, Yogurt, Frutta secca a guscio, Mirtilli rossi 

Altri minerali importanti

Accanto allo iodio, di grande importanza risulta essere l’apporto di altri micronutrienti quali selenio, zinco magnesio . In particolare, il selenio potrebbe essere utile per la prevenzione delle disfunzioni tiroidee. Tra gli alimenti più ricchi in selenio vanno ricordati il pesce azzurro (sardine fresche in primis), i molluschi ma anche il fegato (frattaglie) e a seguire cereali , soprattutto integrali, e prodotti lattiero-caseari .Zinco e magnesio giocano un ruolo meno cruciale ma sono microelementi implicati in numerose funzioni nell’organismo che riguardano anche la funzione endocrina e pertanto la dieta deve garantirne il corretto fabbisogno giornaliero.

Cibi da tenere d’occhio

Ci sono invece sostanze che sono in grado di modificare l’assorbimento o l’utilizzo dello iodio (riducendone di fatto la disponibilità) e vengono pertanto definite “gozzigene”: tra questi i composti organici solforati, gli ftalati, gli idrocarburi policiclici aromatici e il litio, che agiscono con meccanismi differenti. Cavolfiori, rape soia sono i principali alimenti contenenti queste sostanze, tuttavia il loro consumo moderato all’interno di una dieta varia non causa il manifestarsi di una disfunzione a livello della tiroide, ma potrebbe piuttosto modificare l’effetto della terapia medicinale o ormonale in presenza di distiroidismo accertato.

Glutine

I soggetti affetti da ipotiroidismo potrebbero prendere in considerazione la possibilità di limitare l’assunzione di glutine, presente nel frumento, orzo, farro e altri cereali. In alcuni casi, l’ipotiroidismo potrebbe avere legami con una malattia autoimmune sottostante. Chi presenta i sintomi di questa sindrome può essere più a rischio di altri di sviluppare ulteriori condizioni autoimmuni come la celiachia e necessitare quindi di una dieta aglutinata.

In ogni caso, è meglio scegliere pane e pasta integrale, ricchi di fibre che possono aiutare a migliorare l’irregolarità dell’intestino, un sintomo comune tra i soggetti ipotiroidei. È importante ricordare di assumere i farmaci per l’ipotiroidismo a distanza dai pasti ricchi in fibre

Integratori dimagranti e anticellulite: attenzione all’etichetta

Alcuni farmaci, integratori o prodotti di erboristeria utilizzati a fini dimagranti, in particolare come trattamento anticellulite possono interferire con la funzionalità tiroidea anche in maniera grave per chi soffre di ipertiroidismo o intolleranza allo iodio. Incidono sulla tiroide tutti quei cosmetici a base di fucus, alga bruna e più in generale estratti di sali marini o alghe. Ancora più cautela dev’essere usata con creme specifiche per il trattamento anticellulite, che possono contenere tiroxina.

La Nuova Electrosculpture, trattamento per eccellenza all’interno degli Studi estetici DCD, esclude l’utilizzo di qualsiasi sostanza dannosa per la funzionalità tiroidea; pertanto, è indicata nel trattamento di inestetismi cutanei quali cellulite e ritenzione idrica nei soggetti affetti da disturbi della tiroide

Di redazione, con la collaborazione della dottoressa Giorgia Fusco, dietista.

Lassità cutanea: una guida completa

La lassità cutanea può colpire tante donne. Scopriamo oggi a cosa è dovuta e come contrastarla.

La lassità cutanea è una perdita (o meglio, cedimento) del normale tono cutaneo: solitamente colpisce la pelle più sottile e fragile, rendendola più secca e meno elastica.

La zona più colpita frequentemente riguarda le braccia e le cosce, ma può capitare di notarla sull’addome e sui glutei.

Istologia: a cosa è dovuta la lassità cutanea?

La lassità cutanea è data da una perdita di collagene ed elastina da parte dei fibroblasti e dalla diminuzione del tessuto adiposo: questa è aggravata dal calo di produzione di acido ialuronico che riduce l’idratazione cutanea.

Nello studio della lassità cutanea, gioca un ruolo fondamentale la valutazione medica per una eventuale diagnosi differenziale con altri inestetismi cutanei come ad esempio la cellulite, e la scelta del trattamento più adatto. Alcuni casi restano prettamente chirurgici.

Alla base della lassità cutanea ci sono i normali processi di invecchiamento. Inoltre ci sono altri fattori che possono avere un ruolo nella lassità cutanea, come fattori intrinseci ed estrinseci, genetica, dieta, stile di vita, esposizione al sole, stress e fumo, sbalzi di peso o dimagrimenti consistenti.

Come contrastare la lassità cutanea?

 A volte seguire una dieta sana e un regime di allenamento non è sufficiente per contrastare questo inestetismo: possono essere d’aiuto trattamenti medico-estetici se non si vuole ricorrere alla chirurgia che in alcuni casi resta l’unica opzione.

Utile è la radiofrequenza che va a stimolare direttamente la formazione di nuovo collagene. Questo trattamento è funzionale per la lassità cutanea lieve per fornire un po’ di “tonificazione” della pelle, o come alternativa meno invasiva alla chirurgia.

Anche trattamenti come la Nuova Electrosculpture possono migliorare il tono cutaneo. Vantaggioso è sicuramente migliorare lo stile di vita controllando l’alimentazione e aumentando la massa e il tono muscolare.

Di redazione, con la collaborazione della dottoressa Maria Giulia Mattei medico estitica e nutrizionista

Il sale, un pizzico di salute!

Diminuire l’uso del sale in cucina sembra un’impresa impossibile ma con piccoli trucchi e accorgimenti si può fare senza troppi problemi.

Il sale, croce e delizia della nostra tavola. Basta aggiungerne un pizzico per dare sapore ai nostri alimenti. Il sale da cucina, infatti, è un esaltatore di sapidità utilizzato per dare più gusto ai cibi che prepariamo.

Il sapore e le proprietà biologiche del sale derivano dal sodio (1gr di sale contiene circa 0.4gr di sodio), elemento indispensabile all’organismo umano in quanto regola la permeabilità delle membrane cellulari e l’eccitabilità muscolare, interviene nella trasmissione dell’impulso nervoso e nel mantenimento dei liquidi extracellulari.

L’escrezione urinaria giornaliera di sodio è pari a 0.1-0.6 gr. Questa quantità deve essere reintegrata con la dieta ed è sufficiente quella naturalmente presente negli alimenti, perché solo nei casi di sudorazione eccessiva e prolungata o di disidratazione il fabbisogno di sodio aumenta.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) raccomanda di introdurre con la dieta non più di 5 gr di sale al giorno (un cucchiaino da tè) pari a circa 2 gr di sodio al giorno.

Ma siamo sicuri di rispettare sempre la quantità di sale consigliata?

I rischi

Un’abitudine comune è l’aggiunta di sale ai cibi che comporta l’inevitabile consumo di una quantità 10 volte superiore a quella fisiologicamente necessaria.

La comunità scientifica afferma che un consumo eccessivo di sale è correlato ad un aumentato rischio di sviluppare ipertensione arteriosa, malattie cardiovascolari e tumori allo stomaco. Inoltre, è associato ad un’aumentata perdita urinaria di calcio con conseguente potenziale rischio di sviluppare osteoporosi.

Limitare il consumo di sale entro i limiti suggeriti permette di ridurre la pressione sistolica fino a 8 millimetri di mercurio (mmHg) e la diastolica fino a 4 mmHg, risultato sovrapponibile a quello che si otterrebbe con un calo ponderale di 10kg o con un’attività fisica regolare di 30 minuti al giorno.

Per tali motivi è importante ridurre il consumo giornaliero di sale e farlo non è così difficile.

Come ridurre l’assunzione di sale

Ma come si può ridurre il consumo di sale senza rinunciare al gusto?

  • DIMINUIRE UN PO’ ALLA VOLTA:  il primo passo è sicuramente quello di diminuire gradualmente l’aggiunta di sale in cucina e a tavola educando il palato a cibi meno salati che diventeranno pian piano saporiti al punto giusto.
  • IL SEGRETO È A FINE COTTURA: un altro accorgimento è quello di aggiungere poco sale a fine cottura in modo che venga assorbito meno dagli alimenti.
  • SPEZIE, ERBE E AROMI: utilizzare spezie (pepe, noce moscata, ecc.), erbe aromatiche (basilico, origano, prezzemolo, ecc.), limone e aceto per esaltare il sapore dei cibi.
  • LEGGERE L’ETICHETTA: saper leggere l’etichetta permette di fare scelte più consapevoli limitando l’acquisto e il consumo di prodotti ricchi di sale. Affettati, formaggi e alimenti conservati (tonno in scatola, patatine, ecc.) sono quelli che ne contengono di più, ma anche pane e prodotti da forno come biscotti e fette biscottate ne hanno una quantità elevata. In quest’ultimo caso il sodio viene nascosto dallo zucchero presente tra gli ingredienti, per cui è molto importante saper leggere l’etichetta dei prodotti confezionati, preferendo quelli che contengono meno di 0.4 gr di sodio per porzione.  Limitare anche l’utilizzo di salse (es. ketchup) e dadi da brodo.
  • FARE SCELTE SENZA SALE: Scegliere, quando possibile, prodotti a ridotto contenuto di sale, come il pane sciapo, legumi freschi o secchi invece che in barattolo (in questo caso avere cura di risciacquarli dall’acqua di vegetazione prima di consumarli).

Lo sapevi che anche l’acqua contiene sale?

Il contenuto di sodio nelle comuni acque minerali è inferiore allo 0.05 gr/litro, per cui bevendo 2 litri di acqua al giorno se ne introduce una quantità sotto il consentito. Tuttavia,le acque a ridotto contenuto di sodio possono aiutare a ridurne l’assunzione giornaliera, soprattutto quando non si riesce a limitare l’uso del sale nella dieta o quando ci sono condizioni cliniche particolari (ipertensione arteriosa, malattie renali).

L’uso del cosiddetto sale iposodico deve essere valutato dal medico curante in quanto il sodio viene in parte sostituito dal potassio per cui può essere controindicato in alcuni casi (diabete, malattie renali, farmaci). Inoltre data la sua diversa sapidità non bisogna cadere nell’errore di utilizzarne troppo.

Poco sale, preferibilmente iodato per prevenire le malattie da carenza di iodio come suggerito dal Ministero della Salute, è la regola d’oro per dare sapore alla vita!

Di redazione, con la collaborazione della dottoressa Serena Rianda medico nutrizionista

Le stagioni della Salute: ecco perché è così importante seguire il ritmo della natura

La natura pensa proprio a tutto, soprattutto alla nostra salute. Conosci la stagionalità della frutta e della verdura? Scopriamoli insieme.

Lo abbiamo imparato fin dalla tenera infanzia: mangiare frutta e verdura fa bene alla salute! Ogni frutto e ogni verdura ha la sua stagione , per questo seguire la stagionalità della natura è un valido alleato per il nostro benessere. Scopriamo oggi perché.

Sapevate perché il consumo di frutta e verdura  è così importante? Innanzitutto garantisce l’apporto di acqua, vitamine, minerali, fibre e sostanze bio-attive fondamentali per mantenere un buono stato di salute. Inoltre, il loro ridotto contenuto calorico e la capacità di dare un rapido senso di sazietà contribuiscono a controllare le calorie introdotte con la dieta, con effetto positivo sul peso corporeo. Dati scientifici convalidati confermano inoltre che un regolare consumo di  frutta e verdura rappresenta un fattore di prevenzione allo sviluppo di patologie croniche (diabete, cardiopatie, tumori).

Le linee guida per una corretta alimentazione suggeriscono il consumo di 5-6 porzioni al giorno tra frutta e verdura: una porzione di frutta corrisponde a circa 150grammi, una porzione di verdura da cuocere a circa 250grammi, una porzione di insalata a circa 50grammi, a crudo e al netto degli scarti.

La Stagionalità di Frutta e Verdura: quali sono i vantaggi?

Il clima e l’avanzamento delle tecniche di produzione permettono di avere un’ampia varietà di prodotti orto-frutticoli  in tutti i periodi dell’anno, tuttavia consumare frutta e verdura di stagione presenta numerosi vantaggi.

  • È UNA SCELTA DI GUSTO: significa consumare prodotti nel periodo della loro maturazione, quindi più saporiti e con caratteristiche nutrizionali migliori.
  • È UNA SCELTA SALUTARE: la natura pensa davvero a tutto perché ci propone prodotti diversi per assicurare all’organismo tutti i principi nutritivi di cui ha bisogno, anche in base ai vari periodi dell’anno. Non è un caso che la frutta e la verdura invernali sono ricche di vitamina C che rinforza il sistema immunitario contro le malattie da raffreddamento, mentre quelle estive sono ricche di acqua e sali minerali utili a contrastare la disidratazione dovuta alle alte temperature. Inoltre rispettare la natura significa ridurre l’utilizzo di fertilizzanti e pesticidi, con effetto benefico sulla salute.
  • È UNA SCELTA ECONOMICA: frutta e verdura di stagione costano meno rispetto a quelle non stagionali, perché non necessitano di serre per essere coltivate, di celle frigorifere per essere conservate, di lunghi viaggi per essere distribuite nei mercati. Oltre al risparmio economico, si protegge anche la qualità del prodotto, che si riduce ad ogni passaggio.
  • È UNA SCELTA ECOLOGICA: i benefici  sull’ambiente dei prodotti stagionali dipendono dal minore utilizzo di energia, acqua, fertilizzanti e pesticidi nelle varie fasi della filiera alimentare (coltivazione, raccolta, conservazione, trasporto, consumo). I prodotti con un minore impatto ambientale sono infatti quelli coltivati all’aperto, nella loro stagione e consumati nello stesso luogo di produzione

Le tabelle della Stagionalità

È difficile stabilire un’unica tabella di stagionalità di frutta e verdura, poiché il clima e le tecniche produttive sono cambiate nel corso degli anni, e con essi la disponibilità dei prodotti. Quella proposta da Altroconsumo può essere utilizzata per fare scelte più consapevoli ed è possibile scaricare il calendario completo della frutta e verdura di stagione 

Alla luce di quanto detto, è davvero vantaggioso rispettare il ritmo della natura; tuttavia, la base di partenza è quella di avere un’alimentazione ricca di frutta e verdura e povera di grassi e zuccheri.

Si possono consumare le verdure non solo come contorno, ma anche come condimento della pasta o come snack durante la giornata, e la frutta può rappresentare un ottimo spuntino o dessert  ed essere utilizzata per la preparazione di un dolce, con meno calorie ma con tanto gusto. Quindi  più frutta e verdura, sempre, meglio se di stagione!

Di redazione, con la collaborazione della dottoressa Serena Rianda, medico nutrizionista 

Acqua come fonte di vita e benessere

L’acqua è essenziale per la vita degli esseri umani. Scopriamo oggi come può essere una valida alleata sulle nostre tavole.

L’acqua, la fonte di vita per eccellenza, essenziale per la vita dell’essere umano. È una delle prime cose che impariamo a scuola: la sua importanza per il nostro organismo è nota in quanto il nostro corpo è costituito principalmente d’acqua, precisamente dal 63%, anche se questa percentuale può variare tendendo a diminuire,  a seconda dell’età, del sesso e del peso.

L’acqua è un veicolo di trasporto per tutti i nutrienti e i rifiuti all’interno del corpo umano: senza acqua, le cellule, i tessuti e gli organi muoiono rapidamente. L’acqua è fondamentale come lubrificante e cuscino per le articolazioni mentre a livello oculare agisce come ammortizzatore per mantenere una pressione ottimale sulla retina e la lente. 

L’importanza dell’acqua per il nostro corpo

 

Durante i pasti l’acqua crea un effetto protettivo e lubrificante sulle pareti gastroesofagee creando un sottile film protettivo dai succhi gastrici e allo stesso tempo facilita lo scorrere del cibo.

Scioglie amminoacidi, glucosio, minerali e molte altre sostanze necessarie da parte delle cellule. Piccole molecole, come quelle dell’azoto e i loro prodotti finali generati durante il metabolismo proteico, si dissolvono nel sangue e devono essere rimosse per evitare di costituire concentrazioni tossiche all’interno del corpo.

I reni agiscono come filtri per questi prodotti di scarto e li espellono, mescolati con acqua; quando i reni si ammalano, come può accadere a coloro che soffrono di diabete, le tossine possono accumularsi provocando una situazione di pericolo per la propria vita.

I fluidi corporei che hanno il maggior contenuto in acqua sono il liquido cefalo rachidiano, il midollo osseo e il plasma sanguigno; risulta quindi di fondamentale importanza per il trasporto dei nutrienti in tutti i distretti corporei e per l’eliminazione e l’escrezione, tramite l’urina, delle scorie prodotte nelle reazioni biochimiche.

L’acqua inoltre svolge una funzione determinante nella regolazione della temperatura corporea (tramite la sudorazione) e della concentrazione dei sali minerali. Proprio perché l’acqua deve essere presente in quantità molto elevate nell’alimentazione umana, viene classificata come macronutriente.

L’alimento più importante

L’acqua è la protagonista indiscussa delle nostre tavole.

Ma nonostante sia insapore e incolore, non tutte le acque sono uguali e si differenziano tra minerali e oligominerali (povera di sali minerali). Esistono diversi fattori da tener conto quando classifichiamo le diverse tipologie d’acqua. 

Il residuo fisso, ovvero la quantità di sali minerali e oligoelementi contenuti in un litro d’acqua dopo essere stata sottoposta ad evaporazione a 180 gradi, è una dei primi criteri con cui distinguere l’acqua. 

Tutte le acque naturali possono essere lisce, gassate o effervescenti naturali e vengono imbottigliate come sgorgano dalla sorgente.

L’acqua minimamente mineralizzata è quella che ha un contenuto di sali non superiore a 50 mg/ litro ed è indicata quando si utilizzano latti in polvere ed altri alimenti per l’infanzia.

Le acque oligominerali hanno un residuo inferiore a 500mg/litro; il loro ridotto contenuto in sali favoriscono la diuresi e sono consigliate per chi soffre di calcoli renali, per neonati e bambini.

Le acque minerali hanno invece un residuo fisso compreso tra 500 e 1500 mg/ litro; data l’elevata quantità di sali, sono consigliate nei periodi caldi in cui si suda maggiormente.

Indicazioni su base DCD per un corretto utilizzo

Per chi segue il protocollo DCD si annovera il consumo ampiamente raccomandato dei 2 litri giornalieri, ponendo particolare attenzione alla composizione e al residuo fisso delle acque che non devono superare i 300/mg litro.

DCD da sempre, fin dall’inizio della sua storia nel 1980, consiglia la famigerata acqua EVIAN, un po’ più cara rispetto alle altre, ma di certo di grande efficacia in quanto si è statisticamente riscontrato un maggior modellamento in termini di diminuzione dei centimetri in chi ha sempre utilizzato questo tipo di acqua rispetto ad altre marche.

Consigliate in alternativa sono la Panna, Vitasnella, Rocchetta, Santa Croce.

Quindi… alla salute!

Un altro consiglio utilissimo è quella di variare le tipologie di acqua ogni tot mesi per non abituare l’organismo ad una sorta di assuefazione e mantenere così un modellamento costante nel tempo.

Di redazione, con la collaborazione della dottoressa Monica Ramiconi, dietista

Ipertensione arteriosa: cosa devi sapere e come combatterla

L’ipertensione arteriosa è una delle patologie più diffuse. Cosa devi mangiare e come DCD può aiutarti a combatterla.

L’ipertensione arteriosa è una delle patologie più diffuse nei paesi industrializzati e rappresenta uno dei problemi clinici attuali e più ricorrenti nelle persone adulte di entrambi i sessi. Conoscere questa patologia, sapere le cause e gli effetti è il primo passo per tenerla monitorata e prevenire i danni che essa può provocare.

L’ipertensione arteriosa è uno stato costante e persistente in cui la pressione arteriosa a riposo risulta più alta rispetto ai parametri definiti normali; le sue complicanze possono essere severe e talvolta mortali. Il trattamento dell’ipertensione è di natura principalmente dietetica e poi farmacologica.

Definizione

La natura dell’ipertensione arteriosa è una condizione caratterizzata dall’elevata pressione del sangue nelle arterie. Più precisamente è la forza che il sangue esercita contro le pareti dei vasi sanguigni a seguito dell’azione di pompa svolta dal cuore.

Misurata in millimetri di mercurio con un paziente in stato di riposo, è solitamente definita attraverso i valori di pressione sistolica (o massima) e pressione diastolica (o minima). Secondo lo standard scientifico la pressione ottimale a riposo è pari a 120/80mm/hg ma se superiamo costantemente valori pari a valori di 140/90 potremo definirci persone ipertese. Le cause sono numerose e possono essere di natura genetica, alimentare, legate all’invecchiamento, al sovrappeso, alla sedentarietà, agli squilibri ormonali, alla menopausa, a predisposizioni familiari.

Lo stile di vita: la principale causa

Sicuramente una delle cause più diffuse che comportano lo sviluppo della ipertensione arteriosa parte dalla tavola. Una scorretta alimentazione unita ad un uso spropositato del sale da cucina, consumo di alimenti preconfezionati, insaccati o troppo elaborati comporta uno sviluppo della patologia. 

Ma esistono anche altri fattori che possono determinare l’ipertensione arteriosa, come: la carenza di vitamina D, il consumo di alcool, l’obesità, la mancanza di movimento, e soprattutto il fumo. Il fumo da sigaretta, in quanto potente vasocostrittore, favorisce la formazione di placche ateromasiche all’interno delle arterie. La vasocostrizione riduce il flusso sanguigno aumentando le resistenze periferiche, imponendo al cuore di esercitare un’azione di pompa maggiore.

Uno stile di vita sano e una corretta alimentazione sono gli alleati per monitorare la patologia. Ma soprattutto fondamentale risulta educare i giovani fin dalla tenera età. La prevenzione primaria dell’ipertensione comincia in età giovanile avviando i soggetti alla pratica sportiva e controllando le abitudini alimentari apportando alimenti ricchi di fibre (frutta e verdura), cereali integrali, ridotti consumi di sale da cucina – non superando mai i 5- 6 grammi/die (grammi al giorno). 

Un’altra causa sicuramente scatenante è lo stress dovuto a collera trattenuta, grandi arrabbiature, intense emozioni, responsabilità o impegni eccessivi. Infatti, quando lo stress risulta molto elevato, soprattutto se psichico può comportare uno sviluppo dell’ipertensione arteriosa.  

Altre cause non gestibili sono legate all’età avanzata. Questa condizione, non controllabile, dunque accettabile in quanto fisiologica, è frutto di fattori diversi legati all’invecchiamento.

Complicanze dell’ipertensione arteriosa

Un aspetto dell’ipertensione arteriosa sicuramente interessante è che le complicanze derivanti dalla sua mancata cura non sono immediate, ma insorgono dopo qualche anno dalla sua comparsa con una severità strettamente correlata all’entità dell’eccesso pressorio. Ad esempio, i danni della pressione alta non trattata a carico del sistema cardiocircolatorio e del compartimento cerebrale insorgono rispettivamente dopo circa 10 e 20 anni dall’inizio dello stato ipertensivo.

Come si cura l’ipertensione arteriosa?

Approccio farmacologico

Se le modifiche allo stile di vita non sono sufficienti a ridurre il carico ipertensivo (riduzione dell’apporto di sale, praticare regolare attività fisica, abolizione del fumo di sigaretta, limitazione del consumo di alcol, riduzione del peso corporeo), si ricorre all’uso di farmaci. 

Le classi farmacologiche attualmente utilizzate sono:

  • Diuretici
  • Beta bloccanti
  • Calcio antagonisti
  • ACE inibitore
  • Antagonisti dell’angiotensina II

Differenti tra loro per il meccanismo con cui riducono la pressione arteriosa, i sopraccitati farmaci presentano un tempo di risposta terapeutica ottimale che varia dalle 2 alle  6  settimane di trattamento.

La DCD ti aiuta in caso di ipertensione arteriosa

I trattamenti eseguiti alla DCD sono rivolti a coloro che hanno problematiche di sovrappeso che sappiamo essere strettamente correlati ad eventuali problematiche cardiache più o meno severe. L’approccio rivolto al paziente iperteso  si traduce  principalmente con un regime alimentare  adeguato  con un apporto controllato di cloruro di sodio consistente in:

  • sale da cucina (massimo 4 grammi/die (grammi al giorno) e preferibilmente sale rosa dell’Himalaya);
  • escludendo dal regime dietetico insaccati di qualsiasi genere;
  • escluso il tonno sia in scatola sia in vetro;
  • abolizione di dadi da brodo o glutammato;
  • proponendo un regime CADN ove vengono esclusi a priori determinati alimenti;
  • no a vegetali conservati (inclusa la salamoia);
  • Acqua oligominerale 2.5 litri/die;
  • Crackers tassativamente integrali Misura

Dolci tentazioni: quella irrefrenabile voglia di dolce

Ti capita di alzarti di notte con un’irrefrenabile voglia di dolci? Non sottovalutare il problema, potresti sviluppare una vera e propria dipendenza. 

Chi di noi non ha mai desiderato un bel dolce?
I dolci nelle loro varietà accompagnano da sempre i momenti lieti della vita: non c’è cerimonia o ricorrenza senza il suo dolce finale. Se pensiamo che fin dall’infanzia i dolci assumono il valore di premio e ricompensa, sembra impossibile pensare ad una vita priva dei dolci.


Il loro buon sapore, dovuto al connubio di zuccheri e grassi, esalta le papille gustative e rallegra gli animi. Pertanto, amare i dolci, esserne golosi, potrebbe non essere un problema ma un innocuo piacere.


Quando i dolci diventano una dipendenza

Però, delle volte, la voglia di dolci può sopraffare fino a diventare una vera e propria dipendenza che si manifesta quando subentrano i seguenti fattori: frequenza, quantità, compulsività. 

Spesso accade che si inizia una dieta con buone intenzioni e si riesce a seguire lo schema alimentare con successo. Ma altrettanto spesso accade che in certi momenti, soprattutto dopo cena o addirittura di notte, esploda una irrefrenabile voglia di dolce.


A quel punto ci si muove verso il frigo, a volte come in trance, obbiettivo la fetta al latte dei ragazzi, o verso i cassetti della credenza a far man bassa di biscotti e cioccolatini destinati ad amici e parenti. Desiderio e volontà di controllo si confondono, si combattono, ed è sempre il primo ad avere la meglio.

Le mani vanno più veloci del pensiero e scartano frenetiche la tavoletta del cioccolato preferito”, così mi racconta una cliente e aggiunge: “non riesco a fermarmi… ho bisogno di scaricare la tensione, calmarmi, coccolarmi.” Queste parole ci guidano verso una comprensione del fenomeno che va oltre il bisogno fisiologico di mangiare, oltre la fame, oltre il puro piacere del palato.


Cosa accade al nostro corpo quando assumiamo dolci

Per le neuroscienze quando si mangiano dolci o cibi contenenti zuccheri, il cervello attiva una sorta di sistema di ricompensa chiamato sistema mesolimbico della dopamina, la stessa sostanza che viene rilasciata dai neuroni quando siamo felici, soddisfatti, appagati. Quindi, se si vorrà mantenere questo stato di grazia si dovrà ripetere l’assunzione con una certa frequenza. Da ciò se ne deduce che i dolci sono la riproduzione “chimica” del piacere e del benessere che non si riesce ad ottenere per altre vie, una sorta di cibo dall’effetto medicale, facile da reperire ed auto prescrivibile.

Lo zucchero, inoltre, essendo presente nel latte materno e nel latte in polvere, può evocare l’abbraccio in cui erano avvolti i nostri corpi da cuccioli e quel senso di pienezza e sazietà irripetibili. Oppure, al contrario, quel sapore rimanda a un contatto emotivo forse insufficiente nell’infanzia, di cui rimaniamo affamati e che continuiamo a farci mancare da adulti.


Quell’ irrefrenabile voglia di dolce è come un diavoletto malefico che ci dice: “fallo, fallo, mangia i biscotti” e fa saltare una giornata di dieta quasi perfetta. Ogni biscotto mangiato può essere una parola non detta, un bisogno non espresso, un dolore non elaborato, la panacea ad un’emozione che esplode nella notte e alla quale non si sa dare un nome.


Le testimonianze

Ho chiesto ad una cliente di dirmi se quel cornetto mangiato con un po’ di senso di colpa fosse stato un gesto o una frase, che gesto e che frase sarebbero stati e lei mi ha risposto: “Il gesto un abbraccio, la frase sei stata brava”.


Ma i dolci nel loro significato psicologico possono essere anche la carica a una vitalità spenta, il sostituto di un gesto creativo, o della  realizzazione di se stessi come persona.

Tante possono essere le chiavi di lettura per questo particolare rapporto con i dolci, ma ognuno ha il suo personale intimo significato. Sarebbe utile comprendere cosa nasconde quel gesto impulsivo, cosa sostituisce, cosa vi manca veramente, e cogliere l’emozione che vi spinge a fagocitare dolci senza gustarli, senza piacere e con senso di colpa.


Il ruolo di DCD

Spesso da soli risulta difficile analizzare il perché di determinati comportamenti. Nonostante ci si metta la buona volontà per seguire un regime alimentare sano, si fallisce. Una psicologa del comportamento alimentare può aiutare ad aprire un dialogo tra la parte impulsiva e la parte razionale, ad accogliere le vostre emozioni senza giudicarle e ad attivare altri canali di piacere e soddisfazione.

dott.ssa Marzia Vercillo, psicologa Psicoterapeuta – Consulente DCD

Menopausa e alimentazione. Ecco tutto quello che bisogna conoscere

La menopausa è un momento delicato per la vita delle donne. Come affrontarla? Cosa mangiare? La nostra esperta risponde a tutte le domande. 

Il momento tanto critico è arrivato. Mille dubbi, mille paure e un punto interrogativo di come affrontare una fase delicata che coinvolge, prima o poi, tutte le donne. Iniziamo con fare chiarezza su cosa è effettivamente la menopausa e cosa può comportare nella vita di una donna.

Fisiologia della menopausa

La menopausa inizia quando nella vita di una donna viene meno la fase mestruale per almeno 1 anno. Ogni donna vive situazioni diverse, più o meno complesse, con sintomatologie ben precise a seconda dei casi.

L’età media fisiologica è 52 anni, anche se fattori come il fumo, il vivere ad elevate altitudini e la scarsa nutrizione possono ridurre l’età. Le variazioni del ciclo mestruale di solito cominciano, con variazione della lunghezza del ciclo, dopo i 40 anni.

Le manifestazioni della menopausa possono comprendere vampate di calore, sudorazione notturna, sindromi genitourinarie. I sintomi possono essere trattati con modifiche dello stile di vita o con terapie complementari o alternative.

I sintomi della menopausa

I sintomi più comuni che una donna riscontra quando inizia la menopausa sono:

  • indolenzimento del seno;
  • cambiamento del flusso mestruale;
  • malumore ed emicrania;
  • vampate di calore (instabilità vasomotoria). Queste ultime persistono per svariati anni dopo l’inizio della menopausa;
  • secchezza vaginale, atrofia delle mucose, urgenza urinaria;
  • perdita di tono muscolare.

Sintomi meno comuni che possono verificarsi sono l’aumento del colesterolo LDL, e questo in parte può spiegare perché l’aterosclerosi diventa più comune tra le donne dopo la menopausa.

Inoltre, si ha una perdita della densità ossea durante i primi 5 anni dopo la menopausa, dopodiché il tasso di perdita è simile a quello degli uomini. Anche per questo, lo screening per l’osteoporosi è consigliato a tutte le donne oltre i 65 anni, coloro presentano alto rischio di fratture( con un anamnesi familiare di osteoporosi),donne che hanno una storia di problemi alimentari, un basso indice di massa corporea, un uso cronico di corticosteroidi, interventi di by-pass gastrico, malattia di Crohn.

Una curiosità che forse pochi sapranno è che per le donne con storia di endometriosi, dismenorrea, disturbi del ciclo e sindrome premestruale, la qualità della vita migliora dopo la menopausa.

La terapia ormonale è il trattamento più efficace per i sintomi menopausali, viene  usata per alleviare le vampate da moderate a gravi, e quando vi è incluso un estrogeno, per  migliorare i sintomi a causa di atrofia  vulvovaginale, riduce la perdita ossea  e l’incidenza  delle fratture.

Imparare a convivere con la menopausa

Arrivare alla fase della menopausa non deve essere un ostacolo per le donne, la vita non finisce quando le ovaie decidono di non produrre più ovuli. Ancor di più perché anche durante la menopausa le ovaie continuano a produrre piccole quote di androgeni ed estrogeni a cui si affiancano quelli sintetizzati nel tessuto adiposo.

Non diventano quindi, organi inutili, e questa parola, a maggior ragione, dovrebbe scomparire dal vocabolario della menopausa. La fine dell’età fertile non è una malattia, ma una fase della vita che richiede (e merita) dei cambiamenti.

Non una fine dunque, ma un nuovo inizio. E allievando i sintomi sopra elencati, la vita può trascorrere serenamente senza troppi drammi. 

Menopausa e aumento di peso 

Una delle maggiori preoccupazioni in menopausa riguarda il possibile aumento di peso; in realtà sono le modifiche ormonali, in particolare la progressiva riduzione dei livelli di estrogeni, ad essere i veri responsabili dei cambiamenti della distribuzione di grasso nel corpo della donna che passa dalla classica forma definita a pera ( grasso su fianchi e cosce) a quella a mela( grasso che si accumula su pancia e spalle).

L’aumento di peso è contribuito di fatto a modifiche dello stile di vita, riduzione dell’attività fisica che porta anche alla progressiva perdita di massa muscolare, riduzione del metabolismo basale. Importante risulta anche l’eventuale presenza alta di stress che può indurre al consumo di alimenti poco sani (comfort food) o, in generale, ad una sorta di trascuratezza verso se stesse.

Dunque non è la menopausa a causare l’aumento di peso, ma è un fattore che comporta una serie di conseguenze. 

Ricordiamo inoltre che la massa muscolare diminuisce con l’andare degli anni e, se non si fa nulla per ricostituire/mantenere la massa magra che è andata persa, la composizione dell’organismo cambia, il grasso inizia a prendere il posto della massa magra ed in questo modo le calorie vengono bruciate più lentamente.

Se quindi si continua a mangiare come si è abituate, si finisce per ingrassare, perché il metabolismo basale ha rallentato in seguito alla perdita di massa muscolare. Dunque l’entrata nella fase della menopausa deve comportare un diversificamento del proprio stile di vita. 

Cosa mangiare in menopausa

Dunque quale può essere una dieta efficace che possa comportare uno stile di vita adeguato senza aumentare di peso?
I consigli che danno i nutrizionisti è innanzitutto di assumere dosi adeguate di calcio e vitamina D, per prevenire l’osteoporosi; ed, inoltre, ridurre se non eliminare il consumo di bevande alcoliche, sale, caffè.

Le verdure sono le grandi alleate di questa fase di vita delle donne. Infatti, grazie al loro contenuto in fibra, garantiranno una regolare funzione intestinale prevenendo la comparsa di stipsi e la predisposizione al carcinoma del colon-retto. Inoltre bisognerebbe preferire prodotti integrali e pochi zuccheri semplici per ridurre il rischio di sviluppare il diabete. 

I consigli di DCD

La DCD  opera dal 1980 per trattare in modo specifico ogni circostanza inerente al sovrappeso; in particolare per le donne in menopausa si pone attenzione all’alimentazione e ai controlli seriati e continui per favorire una perdita di peso costante senza stressare i tessuti.

Oltre al trattamento Nuova Electrosculpture, che tratta il corpo in modalità total-body, viene consigliato anche il trattamento localizzato di Cryoultrasound, in particolare sulla zona addominale, in modo da ridurre in maniera specifica proprio questa zona, cruccio di tutte coloro che attraversano la menopausa.

Con la valutazione antropometrica e l’impedenzometria si monitorizza  nel corso dei trattamenti il miglioramento della silhouette al fine di ottenere il massimo dei risultati rapportati alla condizione della singola persona

Di Redazione , con il contributo della dottoressa Monica Ramiconi, dietista.

Allergie e intolleranze: tutto quello che hai sempre voluto sapere

Alcuni alimenti non ti permettono di digerire? Pensi di soffrire di qualche allergia o intolleranza? La nostra esperta risponde alle domande su allergie e intolleranze 

Che differenza c’è tra allergie e intolleranze?
Si sente spesso parlare di allergie e intolleranze alimentari quasi come fossero sinonimi, mentre in realtà sono due patologie ben distinte, confuse, probabilmente, a causa di alcuni sintomi comuni. Oggi, noi di DCD Studi Estetici, facciamo chiarezza su questo argomento che accomuna tante persone. 

Differenza tra Allergie e Intolleranze 

Le allergie alimentari sono dovute ad una reazione immunologica verso proteine alimentari normalmente tollerate chiamate allergeni. Sono coinvolte le IgE, anticorpi specifici della reazione allergica, e possono presentarsi con sintomi lievi o gravi. Il 2-4% della popolazione adulta è interessata da allergia alimentare, vi è una maggiore incidenza nei bambini, pari al 6-8% nei primi anni di vita. Le allergie alimentari sono più’ comuni nei primi 3 anni di vita, ma si possono presentare a qualsiasi età. Tuttavia la percezione globale di “allergia alimentare“ nella popolazione generale risulta molto più alta, intorno al 20%.

Gli alimenti maggiormente coinvolti sono: cereali contenenti glutine, crostacei, uova, pesce, arachidi e frutta a guscio, senape, molluschi.

I sintomi possono coinvolgere più organi.

  • Pelle: orticaria, angioedema, eczema;
  • Cavo orofaringeo: gonfiore della labbra, voce rauca;
  • Apparato gastroenterico: nausea, vomito, diarrea e crampi intestinali;
  • Apparato respiratorio: broncospasmo, tosse, naso chiuso e difficoltà respiratoria;
  • Apparato cardio-circolatorio: aritmie, pressione bassa, svenimento.

Le intolleranze alimentari provocano sintomi spesso simili a quelli delle allergie, ma non sono dovute a una reazione del sistema immunitario, e variano in relazione alla quantità ingerita dell’alimento non tollerato. Una dieta scorretta o alterazioni gastrointestinali come sindrome da intestino irritabile, gastrite, reflusso gastro-esofageo, diverticolite, calcolosi, colecistica determinano una sintomatologia attribuita, spesso erroneamente, all’intolleranza alimentare.

PRINCIPALI ALLERGIE E INTOLLERANZE

1. Intolleranza al lattosio

L’ intolleranza al lattosio è un problema di salute relativamente frequente; sintomi caratteristici sono dolore e gonfiore addominalediarreaflatulenzanauseavomito.

L’intolleranza al lattosio si manifesta con una sindrome di gravità variabile. La quantità con cui il lattosio non digerito per un deficit dell’enzima lattasi determina i sintomi di intolleranza dipende da diversi fattori, tra cui la quantità di lattosio ingerito, la attività del piccolo intestino, il tasso di svuotamento gastrico, il tempo di transito intestinale e la composizione della microflora gastrointestinale

La cattiva digestione del lattosio è una condizione comune, che colpisce fino al 75% della popolazione del mondo e non porta automaticamente all’intolleranza. Così come la mancata digestione del lattosio non porta automaticamente all’intolleranza.

L’utilizzo di probiotici come Lattobacilli e Bifidobatteri possono essere utili per alleviare i sintomi clinici di intolleranza al lattosio e l’assunzione di lattasi che permettono di digerire il lattosio presente negli alimenti e di alimenti a basso contenuto di lattosio.

2. Allergia alle proteine del latte

L’allergia alle proteine del latte è scatenata da un funzionamento anomalo del sistema immunitario che riconosce come nociva una proteina presente nel latte vaccino. In questo caso è consigliabile escludere totalmente dalla dieta tutti i tipi di latticini e ricorrere a prodotti alternativi.

3. Allergia al nichel

L’allergia al nichel è una  reazione immunitaria che si scatena in seguito al contatto con il metallo o all’ingestione del solfato, quando l’organismo non è in grado di tollerarlo.

Tra i sintomi più comuni vi sono senza dubbio le reazioni cutanee come dermatiti, rossori e prurito nel caso di allergia da contatto, mentre quella sistemica o alimentare si manifesta con disturbi gastrointestinali (gonfiore, crampi addominali, stitichezza o diarrea, nausea) e diffusi in tutto il corpo, tra cui mal di testa, spossatezza e dolori articolari.

Cosa evitare in caso di allergia al nichel, quindi? Cioccolato, cacao, anacardi, avena e pomodoro dovrebbero essere banditi in quanto sono i cibi più rischiosi per questo disturbo e prodotti in scatola.

Seguono poi altri alimenti che possiamo dividere in categorie:

  • Cereali: grano, mais, segale, grano saraceno;
  • Verdure: funghi, cipolle, cavoli, lattuga;
  • Frutta: prugne, pere, uva, mirtilli, lamponi, kiwi, frutta secca;
  • Pesce: frutti di mare, salmone, sgombro;
  • Altri alimenti: caffè, tè, lieviti, vino, margarina, aglio.  

GLUTEN SENSITIVITY E CELIACHIA

La gluten sensitivity, sensibilità al glutine non celiaca, è una possibile reazione al glutine (o più probabilmente ai cereali) i cui meccanismi non sono ancora noti. La comunità scientifica nazionale e internazionale è impegnata a studiare se si tratti di una vera e propria patologia e quali meccanismi la inducano. Per il momento la gluten sensitivity va considerata ancora come un ambito di ricerca. A differenza della celiachia, la sensibilità al glutine non provoca lesioni alla mucosa intestinale e non esistono marcatori nel sangue per identificare questa condizione. Il paziente, tuttavia, riferisce ugualmente la comparsa di sintomi all’ingestione del glutine (o dei cereali che lo contengono) e la loro scomparsa alla loro esclusione.

I Cereali contenenti glutine sono:

  • Farro
  • frumento
  • segale
  • spelta
  • orzo

I cereali naturalmente privi di glutine sono:

  • riso
  • mais
  • grano saraceno
  • miglio
  • amaranto
  • quinoa
  • manioca
  • teff
  • sorgo

La celiachia si può presentare con quadri clinici di diversa gravità e può interessare diversi organi ed apparati. Ma indipendentemente dalla severità clinica di presentazione della patologia, il danno è sempre presente se si assume glutine; esiste un’unica diagnosi di celiachia e un unico trattamento: una rigorosa dieta senza glutine per tutta la vita.

Di Redazione, con il contributo della dottoressa Giorgia Fusco, Dietista.

Cellulite: quali sono le cause e come combatterla

Vi presentiamo la nemica di molte donne: la cellulite. Scopriamo insieme le cause e i rimedi per combatterla.

È capitato a tutte di confrontarsi con sé stesse di fronte allo specchio e di trovare difetti da voler assolutamente combattere. Chi si vede troppo magra, chi troppo grassa, chi vorrebbe delle rotondità che non ha e chi, invece, vorrebbe nasconderle. Tutte con le proprie idee di perfezione che spesso non si rispecchiano nella figura che abbiamo di fronte allo specchio. Ma c’è un nemico che ci accomuna, che tutte prima o poi ci troviamo a voler combattere: la cellulite. 

La nemica numero uno

Una nemica comune. Infatti, è una condizione che attanaglia la maggior parte delle donne di ogni età, di ogni etnia e con stili di vita diversi. E cosa si potrebbe fare per combatterla? Bisogna innanzitutto conoscerla.

Cosa è la cellulite?

La cellulite (in termini medici, PEFS pannicolopatia edemo-fibro-sclerotica) è una condizione patologica che causa manifestazioni di carattere principalmente estetico. La cellulite si può manifestare a livello cutaneo con la cosiddetta “pelle a buccia d’arancia” ed è associata ad altre problematiche circolatorie come teleangectasie, ovvero problemi ai capillari, discromie cutanee, vene varicose e va in diagnosi differenziale con la lassità cutanea.

Ma quali sono le principali cause della cellulite

Le cause della cellulite

Non esiste un’unica causa ma diversi fattori che influiscono sulla comparsa della detestata cellulite. 

Innanzitutto, la cellulite è la conseguenza di una condizione cronica infiammatoria multifattoriale che causa una risposta degenerativa evolutiva del tessuto sottocutaneo. 

Ecco le cause più comuni della cellulite. 

1. Difetti del microcircolo 

Per microcircolo si intende la piccola circolazione sanguigna, quando questa non funziona bene si può accumulare acqua nel tessuto interstiziale ovvero lo spazio tra le varie cellule, favorendo la così detta ritenzione idrica e cellulite. La cellulite, infatti, prende origine dalla microangiopatia degli arti inferiori che causa un rallentamento del flusso dei microvasi portando ad una stasi venosa. La ritenzione idrica è una condizione clinica in cui i fluidi non sono correttamente rimossi dai tessuti; pertanto, avviene un accumulo di liquidi negli spazi intercellulari, causando uno squilibrio tra il sistema venoso e quello linfatico

2. L’alimentazione

Anche un’alimentazione non sana può influire sulla comparsa della cellulite. L’assunzione costante di cibi grassi, calorici e molto sapidi comporta un ristagno dei liquidi oltre che ad un aumento della adiposità localizzata. Anche un dimagrimento troppo rapido e non equilibrato con conseguente rilassamento cutaneo potrebbe favorire l’insorgenza dell’inestetismo. 

3. Fattore genetico

Anche il nostro DNA può essere un fattore che influisce sulla comparsa della cellulite. Questo perché a livello genetico potrebbe essere presente una familiarità con insufficienza venolinfatica degli arti inferiori e problemi venosi come lo sfiancamento delle pareti dei vasi.

4. Stile di vita

La vita che conduciamo è un altro fattore importante da considerare. Una vita troppo sedentaria o l’abbigliamento troppo aderente costringe i vasi e affatica il ritorno venoso. Allo stesso modo anche delle scarpe strette o con il tacco troppo alto, impediscono il meccanismo di naturale pompaggio del sangue dal tallone verso l’alto. La stasi circolatoria è provocata anche dallo stare troppo in piedi senza muoversi o viceversa dallo stare troppo seduti.

La principale causa della stasi venolinfatica degli arti inferiori risiede, però, nel non regolare movimento delle gambe. La vita moderna porta sempre più ad una staticità funzionale del nostro corpo: l’assenza della pompa muscolare impedisce la progressione dei liquidi dal basso verso l’alto, infatti, l’attività fisica regolare aiuta il metabolismo, la circolazione sanguigna e il naturale smaltimento delle tossine. Infine, previene ed elimina le adiposità, mantenendo efficiente la muscolatura.

5. Il fumo e l’alcool 

Anche il fumo agisce come un vasocostrittore, perciò il microcircolo viene compromesso, provocando accumulo di liquidi e contribuendo all’invecchiamento precoce dei tessuti. Anche l’alcool ha un ruolo nella comparsa della cellulite, infatti l’abuso etilico favorisce la comparsa della cellulite in quanto comporta l’introito di calorie non benevole, che favoriscono un accumulo di liquidi nello spazio interstiziale.

Rimedi alla cellulite

Ma dunque esiste una soluzione? Sicuramente ci sono degli accorgimenti che possiamo attuare per combattere la cellulite: uno stile di vita più sano che comprende una sana alimentazione evitando il fumo e riducendo l’eccessivo apporto calorico anche per quanto riguarda l’alcool. Fare attività fisica, ma anche cercare di non stare troppo in piedi o troppo seduti possono contribuire a evitare la stasi circolatoria.

E quando tutto questo sembra non portare i risultati sperati, si può combattere la cellulite con trattamenti specifici che agiscono in maniera mirata sulle cause soprattutto micro circolatorie.

L’approccio di DCD

Negli Studi Estetici DCD l’approccio alla cellulite è sicuramente di tipo multidisciplinare, e può essere affrontato a vari livelli.

La Nuova Elettroscultura agisce direttamente sul microcircolo migliorando la circolazione sanguigna e linfatica con un immediato effetto decongestionante e drenante, questo si traducea livello estetico in un miglioramento dell’inestetismo della cellulite. A questo trattamento sicuramente è opportuno affiancare il percorso alimentare DCD che risulta essere un perfetto alleato nella correzione dello stile di vita, come l’attività fisica costante.

Di Redazione, con il contributo della dottoressa Maria Giulia Mattei, medico chirurgo.

Dieta e felici? L’importante è non seguire falsi miti

Quanti falsi miti esistono sulla dieta? Ecco perché non dovresti seguirli se vuoi essere felice.

Cara dieta,
quante cose sono state dette sul tuo conto, quanto odio e quanti falsi miti per combatterti fin dalla notte dei tempi?

Da sempre associata ad una vita di sofferenze e privazioni, il solo pronunciare “Sono a dieta!”produce ansia in chi ne parla e compassione in chi ci ascolta.

Colei che non deve essere nominata prima o poi appare nella nostra vita. Tornare in forma, perdere peso o qualche centimetro è un qualcosa che ci accomuna e ci rende umani. Tutti con le stesse domande, dubbi e perplessità: “Si può essere a dieta e felici?

Ma allora perché insieme non ci uniamo per aiutarci, raccontarci, svelarci trucchi?

È proprio quello che noi di DCD vogliamo fare oggi. Sfatare i miti della signor Dieta per comprendere che essere a dieta non è per forza sinonimo di tristezza e infelicità. Ma soprattutto quello che vogliamo svelarti oggi è che troppe volte è la poca conoscenza di un argomento che lo rende incomprensibile e detestabile.

Ecco alcuni dei 5 miti più diffusi sulla dieta che non devi seguire se vuoi essere in forma e felice.

 

1. PERDERE PESO SIGNIFICA DIMAGRIRE

Falso.

La perdita di peso corporeo è associata al numero che segna la bilancia, l’amica inseparabile della dieta. Ma quel numeretto che compare sul display indica davvero il nostro stato di salute, se siamo in forma, tonici e allenati? Assolutamente no. Tecnicamente quando saliamo sulla detestata bilancia non sappiamo cosa stiamo pesando – massa magra, massa grassa o liquidi?

Dimagrire significa perdere massa grassa. E non sempre il diminuire del numero sulla bilancia è associato ad un giusto dimagrimento. La diminuzione del peso corporeo indotta da una dieta comporta la perdita sia di massa grassa che di massa magra, quest’ultima in quantità maggiore quanto più la dieta è restrittiva e il calo ponderale più rapido. Da ciò si evince quanto sia più utile valutare la composizione corporea e le sue modificazioni piuttosto che il solo dato della bilancia per stabilire l’efficacia di una dieta.

 

2. SALTARE I PASTI FA DIMAGRIRE

Credenza popolare e diffusa soprattutto tra i giovani induce a pensare che mangiando di meno, saltando i pasti, o digiunando a intermittenza si riesca a dimagrire più velocemente.

Niente di più falso. Saltare i pasti è sia dannoso sia controproducente.

È dannoso perché il calo ponderale iniziale è dovuto quasi esclusivamente alla perdita di massa magra (liquidi e muscolo) poiché l’organismo consuma le preziose scorte di glucosio presenti nel muscolo per ottenere l’energia non più disponibile con il cibo. Una specie di auto cannibalismo.

Ed è anche controproducente perché rallenta il metabolismo, in quanto l’organismo brucia calorie più lentamente perché sta già utilizzando le sue riserve, e questo può portare ad una stabilizzazione se non addirittura ad un aumento del peso corporeo.

 

3. ELIMINARE I CARBOIDRATI FA DIMAGRIRE

Falso.

I carboidrati rappresentano la principale fonte di energia per l’organismo – per il sistema nervoso, i reni e i globuli rossi. Hanno inoltre un effetto positivo sul transito e sulla microflora intestinale.

Secondo le Linee guida per una sana alimentazione, il 50-60% delle calorie totali introdotte con la dieta deve essere rappresentato dai carboidrati, principalmente complessi come la pasta e altri cereali. Questo è comprovato anche dalla Dieta Mediterranea – riconosciuta nel 2010 dall’UNESCO come Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità – che fa dei carboidrati la sua base di partenza.

Eliminare carboidrati dalla dieta fa perdere peso ma principalmente liquidi e attiva vie metaboliche alternative che utilizzano principalmente i grassi per avere l’energia non più disponibile dal glucosio, con la produzione di metaboliti potenzialmente dannosi per l’organismo.

 

4. ALLERGIE E INTOLLERANZE FANNO AUMENTARE DI PESO

Ancora una volta no. Falso.

Le allergie e le intolleranze alimentari sono risposte anomale dell’organismo a determinati componenti presenti negli alimenti. La credenza che possano essere la causa dell’aumento di peso corporeo è del tutto infondata. Anzi, spesso, sono associate ad una condizione di malassorbimento che determina una perdita di peso corporeo.

Inoltre, sulla base di test diagnostici non validati scientificamente, vengono arbitrariamente esclusi gruppi di alimenti che rendono la dieta povera e sbilanciata con la conseguente perdita di peso corporeo che non dipende dall’intolleranza ma dalla mancanza di cibo.

 

5. I PRODOTTI LIGHT FANNO DIMAGRIRE

Questo è il mito più difficile da sfatare. Perché inconsciamenteassociamo alla parola light, leggerezza e dunque dieta.
Ma anche in questo caso si tratta di leggenda metropolitana.

Sono considerati alimenti lightgli alimenti che presentano un valore energetico ridotto di almeno il 30% rispetto a quello della media della categoria (Regolamento CE 1924/2006). Il prodotto light si ottiene principalmente riducendo grassi e zuccheri.

Il presunto ruolo sulla perdita di peso corporeo deve essere sostenuto da un’attenta valutazione delle caratteristiche nutrizionali del prodotto, in quanto se pur ridotte, le calorie presenti potrebbero essere comunque tante. Inoltre, il consumatore potrebbe cadere nel tranello del “tanto è più leggero” e consumarne quantità eccessive, anche in conseguenza di un minor senso di sazietà indotto dall’alimento light.

Diffidare dai suggerimenti “miracolosi” e affidarsi a fonti ufficiali è fondamentale per perdere peso in salute. Un peso corporeo adeguato e stabile, ottenuto con un’alimentazione bilanciata e una regolare attività fisica, contribuisce a vivere meglio e più a lungo.Nessun mito, nessuna bacchetta magica, nessuna costrizione e pentimento né tristezza e infelicità. Trovare il proprio equilibrio che si sposi appieno con il proprio stile di vita è questo l’unico mito da inseguire e da insegnare.

Del resto, come diceva anche Ippocrate: “Se fossimo in grado di fornire a ciascuno la giusta dose di nutrimento ed esercizio fisico, né in eccesso né in difetto, avremmo trovato la strada per la Salute.”

Di Redazione, con il contributo della Dott.ssa Serena Rianda

Con il cacao stop ai capelli bianchi

I capelli bianchi sono da sempre sinonimo di saggezza e negli ultimi anni sono tornati di moda.

La tendenza vuole i capelli brizzolati per gli uomini e total white per le donne. C’è, però, chi ancora non riesce ad accettarli e con essi il trascorrere del tempo.

Ecco allora che si ricorre alle tinture chimiche o altri prodotti che spesso provocano allergie ed irritazioni. Come ricorrere a rimedi naturali? Il cacao amaro è uno di questi. Scopriamo insieme l’efficacia della polvere di cacao per coprire i capelli bianchi.

Il cacao come rimedio per i capelli bianchi

Vuoi coprire i capelli bianchi? Finalmente potete farlo in modo naturale, prima di spendere denaro e tempo in costosi trattamenti che danneggiano la salute dei capelli e spesso anche fonte di allergie, cercate il rimedio nella natura.

I classici rimedi della nonna tornano ad essere utili per risolvere molti problemi per la nostra salute e bellezza. Abbiamo già visto l’importanza del caffè come rimedio per la salute dei capelli.

Qui vi proponiamo un altro efficace trattamento che oltre ad essere utile per i capelli bianchi, il cacao aiuta anche a mantenere in salute il cuoio capelluto.

Come applicare il cacao sui capelli

Prendere una bustina di cacao in polvere, formare una crema densa unendo 3 cucchiai di miele e 3 cucchiai di cacao amaro. Lasciare riposare sui capelli asciutti per circa un’ora e risciacquare.

Dopo l’asciugatura noterete che il cacao è riuscito a scurire i capelli in modo evidente, donando una tonalità naturale e lasciando i capelli anche profumati.

Impacchi di salute

Il cacao, oltre ad essere efficace per coprire i capelli bianchi, è sorprendente anche come shampoo e maschera. Per lo shampoo: prendete il vostro shampoo abituale e mischiatelo con la stessa quantità di cacao. usatelo per i lavaggi per almeno 2-3 settimane.

Per potenziare gli effetti del lavaggio potete abbinare un impacco pre-shampoo (maschera) a base di cacao. Per la maschera: mischiate 3 cucchiai di yogurt con 2 cucchiai di cacao in polvere, applicateli su tutti i capelli dalle radici alle punte. Fate agire per 30 minuti e procedete con il lavaggio.

Dopo alcune settimane avrete i capelli più sani e morbidi senza ricorrere a prodotti chimici. In più addio capelli bianchi! Provate per credere.

 

Le proprietà e gli utilizzi del sapone di Marsiglia

Il sapone di Marsiglia è un detergente completamente biodegradabile e naturale: vediamo in quanti modi possiamo utilizzarlo quotidianamente e come realizzarlo da sole.

I prodotti che utilizziamo quotidianamente tendono ad essere sempre meno bio e sempre più trattati. Noi consumatori, solitamente, non perdiamo troppo tempo a leggere gli INCI e le liste degli ingredienti, mentre verificare la composizione dei prodotti che utilizziamo soprattutto sulla pelle è un passaggio fondamentale da fare prima di acquistare un prodotto. Quando acquistiamo qualcosa tendiamo a prestare maggiore attenzione al prezzo piuttosto che alla formulazione, non tenendo conto del fatto che spesso un prezzo troppo basso può andare a minare la qualità di un prodotto e soprattutto delle materie prime utilizzate per realizzarlo.

Il sapone di Marsiglia è un sapone completamente naturale, realizzato con soli ingredienti bio. Le sue funzioni sono molte, possiamo infatti utilizzarlo per pulire la casa, per fare il bucato e per l’igiene personale.

PROPRIETÀ DEL SAPONE DI MARSIGLIA

Quando acquistate il sapone di Marsiglia dovete assicurarvi che sia del tutto naturale, alcuni saponi contengono derivati di animali, preferite sempre quelli che contengono olio di oliva. Grazie all’INCI dei prodotti sappiamo che “sodium tallowate” sta a indicare un ingrediente che proviene dalla macellazione animale; il vero sapone di Marsiglia non dovrebbe contenere tale ingrediente. Al posto del “sodium tallowate” nel vostro sapone di Marsiglia dovreste trovare il “sodium olivate“, cioè l’olio di oliva. Controllate quindi molto bene la lista degli ingredienti prima di procedere all’acquisto, la differenza appena citata ci fa capire se stiamo comprando un sapone di Marsiglia autentico e del tutto naturale o un sapone di bassa qualità.

SAPONE DI MARSIGLIA PER VISO, CAPELLI E MANI

Il sapone di Marsiglia svolge azione antibatterica, è quindi perfetto per detergere il viso sia la mattina appena svegli che la sera o dopo aver tolto il make-up. Questo sapone aiuta soprattutto le pelli miste o grasse. Molti detergenti per il viso che si trovano in commercio contengono zolfo, a lungo andare questo ingrediente può diventare molto nocivo per la pelle e peggiorare irritazioni o brufoli.

Il sapone potrebbe però seccare la pelle: consigliamo quindi di combinare sapone di Marsiglia a un tonico. Lavate bene il viso con sapone e poi passate il tonico sul viso.

Perfetto anche per lavare le mani, il sapone di Marsiglia è molto meno aggressivo di tanti saponi in commercio. Se le vostre mani risultano secche e dure dopo averle lavate, il vostro sapone è troppo forte. Un detergente a base di sapone di Marsiglia invece è molto più delicato sulla pelle ed è adatto alla detersione quotidiana delle mani perché pulisce a fondo le mani senza seccarle.

Il sapone di Marsiglia ha anche azione sgrassante e come è perfetto per pelli miste e grasse lo è anche per i capelli che tendono ad essere grassi e unti. Su capelli secchi e sfibrati invece il sapone svolge un’azione di rinforzo. I capelli secchi saranno rigenerati e ritroveranno lucentezza.

SAPONE DI MARSIGLIA FAI DA TE

Preparare il sapone di Marsiglia in casa è molto semplice. Per preparare una saponetta vi serviranno poche gocce di un olio essenziale a vostra scelta, un litro di olio di oliva, 300 ml di acqua, e 120 grammi di soda caustica.
Munitevi di guanti e mascherina per proteggere gli occhi prima di iniziare la preparazione del sapone. Mescolate in un recipiente l’acqua e la soda caustica facendo molta attenzione. Aspettate che la temperatura si abbassi e aggiungete l’olio. Mescolate il tutto aiutandovi con un frullatore apposito o una frusta elettrica. Aggiungete qualche goccia (5 o 6) di olio essenziale e continuate a mescolare.

Versate poi il contenuto in uno stampino apposito e lasciate solidificare per un giorno. Dopo aver tolto il sapone dallo stampo lasciatelo stagionare in luogo asciutto e ventilato per circa un mese. Vi ricordiamo inoltre che la soda caustica una volta trasformata in sapone e fatta stagionare diventa biodegradabile! Il prodotto rimane al 100% puro e naturale.

Come ridurre l’astinenza dal fumo

Il fumo, oltre ad essere una delle maggiori cause di malattie cardiache e polmonari, favorisce anche altre conseguenze negative come la perdita di calcio (che porta all’osteoporosi), ipertensione e ictus (causa restringimento dei vasi sanguigni).

Il fumo incide negativamente anche sul benessere della pelle favorendo la comparsa di rughe e inestetismi cutanei. Smettere di fumare è uno degli obiettivi principali di uomini e donne per evitare conseguenze spiacevoli per salute e benessere

Smettere di fumare spaventa perchè si ha paura di non superare l’astinenza da tabagismo. Come ridurre i sintomi dell’astinenza? Ecco alcuni rimedi utili e consigli per superare i cosiddetti momenti di “crisi da fumo”.

Sintomi dell’astinenza da fumo

La nicotina causa dipendenza e per questo motivo quando il nostro corpo non ne assume più è possibile avvertire sintomi tipici di un’astinenza da droghe. Cosa accade al nostro organismo quando si smette di fumare? Ecco i sintomi tipici della “sindrome da astinenza da fumo”:

  • irritabilità
  • sonnolenza
  • aumento dell’appetito
  • insonnia

Il tempo necessario per eliminare completamente la nicotina dall’organismo è 3 giorni, quando comincia il momento più acuto della sindrome. In questo momento, infatti, l’ex fumatore avverte nel modo più intenso i sintomi citati in precedenza, molto più forti di quelli avvertiti dopo circa due ore dall’ultima sigaretta.

Secondo alcuni studi dopo circa 20 giorni gli ex fumatori cominciano ad avvertire meno il desiderio di fumare e si sentono più a loro agio. Scopriamo come aiutarsi in questo periodo e come alleviare il desiderio impellente di accendersi una sigaretta.

Rimedi per ridurre l’astinenza da fumo

Il momento più brutto per coloro che decidono di smettere di fumare spesso non è il preciso istante della volontà, ma affrontare le conseguenze del desiderio di riaccendere una sigaretta. Affrontare l’astinenza da fumo è molto difficile. Come fare? Esistono alcuni trucchi e consigli per placare il desiderio di fumare e placare i nervi. Eccone alcuni:

  • Consumare 6 pasti al giorno ricchi di frutta, verdura, proteine e cereali integrali per mantenere costante il livello di zuccheri nel sangue
  • Seguire una dieta più vegetariana per rallentare lo smaltimento della nicotina dall’organismo
  • Fate esercizi fisici, passeggiate e seguite corsi di buona respirazione
  • Fate spuntini a base di semi di zucca e girasole (il contenuto di zinco riduce il desiderio di fumare bloccando gli enzimi del gusto)
  • Mangiate avena, diminuirebbe il desiderio di fumare
  • Bere infusi di erbe per calmare i nervi da astinenza da nicotina

Bevande per contrastare l’astinenza da fumo

Per alleviare i sintomi da astinenza da fumo e calmare i nervi possono essere utili alcune bevande a base di erbe, alghe o sostanze naturali da assumere costantemente o all’occorrenza. Ecco alcune bevande della salute che, oltre a calmare il desiderio, riescono a nutrire in modo efficace il sistema nervoso e prepararlo agli attacchi di astinenza:

  • Coltellino svizzero: infuso a base di alga kelp, cardo, spirulina e uva. Filtrate in un recipiente l’alga kelp e conservatene il succo. In un estrattore unire il cardo, la spirulina e l’uva. Mescolare versare nei bicchieri
  • Ortica: unire nell’estrattore ortica, melone, carota e uva insieme all’olio di oliva. Mescolare e versare nei bicchieri
  • Mela e camomilla: inserire nell’estrattore mele, uva e camomilla. Aggiungere la scutellaria, mescolate e consumate
  • Pina Colada: inserire nell’estrattore ananas, melissa e limone. Aggiungere latte di cocco e olio di semi di lino. Mescolare e consumare
  • Vitamine del mare: mescolare alga kelp, mela, spinaci e spirulina. Versate nei bicchieri e consumare all’occorrenza

Quale insalata preferisci? Cicoria, indivia o lattuga?

La denominazione generica di “insalata” è utilizzata per indicare un gruppo di ortaggi a foglia consumati prevalentemente crudi. La maggior parte delle insalate si può suddividere in tre famiglie botaniche: 

  • le cicorie (che includono i radicchi)
  • le indivie
  • le lattughe

A queste si affiancano numerose erbe di campo quali il tarassaco, la borragine e così via.

La produzione delle diverse specie non ha interruzioni nel corso dell’anno: alcune varietà sono prettamente invernali (indivia riccia, indivia scarola, radicchi), altre sono tipicamente primaverili-estive (lattuga cappuccio, lollo, trocadero), altre ancora estive-autunnali (lattuga a costa lunga, iceberg).

Dal punto di vista nutrizionale, le insalate sono ricche di vitamine (A, C), sali minerali (calcio, ferro) e fibra solubile, particolarmente efficace nella prevenzione dell’arteriosclerosi.

Qualche consiglio:

  • All’acquisto controllate sempre che i colori siano vivaci, le foglie turgide, croccanti e non alterate da insetti.
  • Non lasciatele mai negli involucri sigillati, poiché marcirebbero in breve tempo, ma sistematele in un contenitore coperto con un panno inumidito e ponetele in un cassetto del frigorifero dove l’aria riesca a circolare.
  • Le insalate si conservano al massimo per 3-4 giorni, a eccezione del radicchio rosso, un po’ più resistente.

Cicorie

Il gruppo delle cicorie comprende numerose varietà molto diverse tra loro, in genere a raccolta autunnale o invernale. Il caratteristico sapore amarognolo è particolarmente gradevole nelle piante giovani, che sono quindi da preferire al momento dell’acquisto. 
Le cicorie a foglia rossa o variegata, comunemente chiamate radicchi, sono oggi la varietà più diffusa.

Indivie

Piante a foglia simili alle cicorie, tipiche dei mesi invernali, ma ormai reperibili nel corso di tutto l’anno. Hanno l’aspetto di cespi appiattiti, con le foglie verdi inserite in un breve fusto tenero. La parte centrale, detta cuore, è di colore più chiaro, tendente al giallo. Si dividono in due gruppi: le indivie ricce e le indivie scarole.
Indivia riccia: è facilmente riconoscibile per le foglie crespate e molto frastagliate, che devono essere compatte e ben turgide anche all’esterno. L’indivia riccia viene sempre consumata cruda, meglio ancora se combinata con altre varietà di insalata.

Indivia scarola: pianta dalle foglie larghe e lisce, con bordi appena frastagliati, caratterizzata da una consistenza croccante e da una leggera tonalità amarognola. Viene consumata sia cruda sia cotta, ed è particolarmente utilizzata nella gastronomia campana (per esempio nella preparazione della pizza con la scarola e della scarola imbottita).

Lattughe

Sono le insalate più delicate, sia per la consistenza della foglia, sia per quanto riguarda la conservazione. Oltre all’ottima lattuga da taglio, le lattughe si suddividono nei grandi gruppi seguenti.
Lattuga cappuccio: di forma rotonda e dalle foglie molto larghe, concave e rugose. è il tipo di lattuga più utilizzato in cucina per insalate e guarnizioni. Tra le diverse varietà, due in particolare si distinguono per robustezza e consistenza croccante: la trocadero e la iceberg; quest’ultima in particolare resiste anche al calore e, per questo, è spesso utilizzata nella preparazione degli hamburger.
Lattuga a costa lunga: detta anche lattuga romana, ha forma molto allungata e consistenza croccante: è utilizzata sia a crudo nelle insalate, sia cotta brasata o nella preparazione di minestre.

Erbe di campo

Sono numerose le varietà di erbe spontanee che si possono utilizzare nelle insalate, a patto che le loro foglie siano giovani e fresche; tra le più diffuse occorre ricordare l’acetosella, l’achillea, l’altea, la beccabunga, la borsa del pastore, il levistico, la melissa, la piantaggine, la pimpinella, la valerianella ecc. Talvolta il confine tra insalate di campo ed erbe aromatiche è molto labile e può dipendere unicamente dalla quantità utilizzata.

Fiori

Molti fiori sono adatti a un uso alimentare: i fiori d’acacia possono essere utilizzati per preparare frittelle, mentre le viole sono ottime in insalata o candite; le pratoline, le primule e il gelsomino sono utilizzati per decorare variopinte misticanze, mentre le rose sono l’ideale per aromatizzare preparazioni dolci o come accompagnamento di delicate erbe crude. Tra i numerosi fiori da insalata, occorre ricordare almeno i seguenti. Calendula: oltre alle tenere foglie che conferiscono un gusto particolare alla misticanza, si possono utilizzare i fiori, dal colore vivace e dal sapore intenso. La calendula può essere impiegata anche per aromatizzare un risotto, conferendogli un particolare colore giallo. I boccioli si possono conservare e usare come i capperi.Malva: i piccoli fiori di questa pianta, oltre a essere utilizzati in erboristeria, possono rappresentare una gradevole guarnizione di insalate miste. Le foglie cotte sono invece inpiegate nella preparazione di zuppe. Nasturzio: fiore dal caratteristico colore giallo o arancione che sboccia in estate; ha un sapore piccante ed è in genere utilizzato per insaporire insalate miste o per guarnirle. I boccioli possono essere conservati sotto sale o sotto aceto.Primula: foglie e fiori di primula si abbinano in particolare con la lattuga classica. Tarassaco o dente di leone: erba spontanea dei prati nota per il suo potere diuretico. I fiori conferiscono alle insalate una nota amaricante e si possono utilizzare sia chiusi, sia quando sono già sbocciati.

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